Lucus, monte sacro a
Giove, tra boschi di querce, aceri, faggi… Un luogo d’incanto, che i monaci
provenienti dall’Oriente fin dai primi secoli del cristianesimo continuarono a mantenere
nella sua originale sacralità, insediandosi nelle grotte del monte. L’eredità
passò ai Benedettini e finalmente a san Francesco e ai suoi compagni che nel
1218 fondarono un conventino costruito con cannicci.
Le cellette
testimoniano una vita evangelica semplice e bella, portata avanti anche oggi
dalla bella comunità di frati e dai giovani postulati che ci accoglie con
gioiosa fraternità.
Subito fuori Spoleto la
chiesa di san Sabino, luogo di convegno, già nel primo millennio, dei soldati
che andavano dal santo per chiedergli forza e coraggio…
Anche il giovane Francesco
vi pernottò nel suo viaggio verso le Puglie per combattere e diventare cavaliere.
Fu qui che iniziò la sua conversione.
Rileggo la Leggenda
dei tre compagni:
“Mentre riposava, nel
dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Francesco gli
espose il suo ambizioso progetto. E quello: «Chi può esserti più utile: il
padrone o il servo?» Rispose: «Il padrone». Quello riprese: «Perché dunque
abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per il suddito?». Allora
Francesco interrogò: «Signore, che vuoi ch’io faccia?». Concluse la voce:
«Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare…». Attonito, pensava
e ripensava così intensamente al messaggio ricevuto, che quella notte non
riuscì più a chiuder occhio. Spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il
cavallo verso Assisi, lieto ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva
udito la voce, gli rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della
salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato. Non gl’importava più della
spedizione in Puglia: solo bramava di conformarsi al volere divino” (6: FF
1401).
Il parroco di san
Sabino è accogliente come i frati di Monteluco…
Infine nella
cattedrale di Spoleto che tra i suoi mille tesori, conserva un’altra
testimonianza di san Francesco, la lettera autografa indirizzata a frate Leone.
Un piccolo foglietto rettangolare di
pergamena, tratta da pelle di capra, testimonia la fraterna tenerezza che
Francesco ha sempre manifestato a Leone. Il testo, in latino, dice tra l’altro: “Figlio
mio, parlo a te come una madre. Tutte le parole che ci siamo scambiate per
strada, le riassumo in questa parola e consiglio, anche se in avvenire avrai
bisogno di tornare a chiedermi consiglio. Eccoti dunque il mio pensiero: qualunque
modo di piacere a Dio e di seguire le sue orme e la sua povertà, ti sembri il
migliore, ebbene, fallo con la benedizione del Signore e con la mia obbedienza.
Ma se è necessario per la tua anima, per un’altra tua consolazione, e vuoi, o
Leone, venire da me, vieni!”.
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