Il
“Vangelo della risurrezione” di Giovanni inizia con Maria di Magdala. Da sola. Negli
altri Vangeli le donne sono assieme. Qui lei è come l’ipostatizzazione di tutte
le altre, le sintetizza nella sua persona. Negli altri Vangeli le donne vanno alla
tomba con uno scopo ben preciso: fare lutto, ungere il corpo, portare i profumi.
In questo Maria va senza un apparente motivo, per il solo desiderio di stare vicino
al suo Signore, come attratta dalla sua persona.
È
in pianto perché non trova il corpo dell’amato, a cui vorrebbe essere accanto. Cerca
un cadavere, disteso, freddo.
Accanto
le si presenta una persona in piedi: “sta”, “histêmi”, lo stesso verbo usato per la risurrezione, “ana-stasis”,
che sta in piedi.
Gesù
non è più disteso, è in piedi, non è più morto, è vivo.
Alle
altre donne gli angeli avevamo chiesto: «Perché cercate tra i morti colui che è
vivo?». Adesso è Gesù in persona a rivolgere quell’interrogativo.
«Donna,
perché piangi? Chi cerchi?» (20, 15).
Gesù
si interessa a lei, condivide il suo dolore, come farà più tardi con i due di Emmaus,
e poi con gli apostoli sul mare di Galilea. Continua a farsi prossimo, come ha sempre
fatto lungo tutta la sua vita, a immedesimarsi in quello che l’altro vive fino a
farlo proprio.
Perché
le è “prossimo”, vicino come mai prima d’allora, le esce dalla bocca la parola più
bella, il nome soltanto: “Maria!”.
E
lei subito: “Rabbunì!”, Maestro.
Il
pastore conosce le sue pecore, ciascuna per nome, ed esse conoscono la sua voce
(10, 3-4. 14).
È
bello essere chiamato per nome, dice amicizia, rapporto personale, intimità. Con
quel nome è come se Gesù l’abbracciasse, la prendesse dentro di sé: «Ti ho chiamato
per nome: tu mi appartieni» (Is 43, 1).
E
lei, con quel nome, “Maestro!”, è come lo abbracciasse. Anzi, l’abbraccia davvero!
“Rabbunì”.
Non “rabbi”, come lo chiamavano abitualmente i discepoli, ma “Rabubbì”, Maestro
mio. Perché lo chiama così? Perché è la discepola perfetta, la discepola
amata. Forse anche per questo è stata confusa con Maria di Betania, quella che stava
ai piedi di Gesù ad accogliere tutte le sue parole, quella che aveva scelto la posizione
ottimale, della discepola appunto.
Maria
di Magdala non è stata ai piedi di Gesù a Betania, ma lo è stata ai piedi della
croce, dove ha raccolto le ultime parole e soprattutto l’insegnamento supremo del
Maestro, la proclamazione dell’amore più grande fatto con il dono della vita.
Rabbunì,
e lo tiene stretto, così come le altre donne, nel racconto di Matteo, gli avevano
abbracciato i piedi (28, 9).
Girolamo,
grande filologo, traduce le ulteriori parole di Gesù con il famoso: “Noli me tangere”,
non mi toccare. E l’arte ha sempre raffigurato il Risorto che si discosta da Maria
per non farsi toccare.
In
effetti il verbo che Gesù usa è haptō, toccare, ma Girolamo ha dimenticato
che la forma verbale usata da Giovanni indica il perdurare dell’azione: “Non continuare
a toccarmi, non trattenermi, adesso per favore lasciami andare”.
Sì,
perché Gesù deve salire al cielo.
Si
lascia toccare da Maria, come poi da Tommaso, mangia con i discepoli di Emmaus,
con gli apostoli, ma una volta che c’è stato il contatto e l’hanno riconosciuto
egli si dilegua. Vuol far capire che d’ora innanzi il rapporto con lui sarà ancora
più profondo, più intimo. Quando verrà lo Spirito lo capiranno: egli sarà sempre
con loro, in loro, tra loro, ma in maniera diversa da prima: una immanenza reciproca.
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