Provo a immaginare qualche pista per la missione non tanto
per questo momento, quando si fa quel che si può, ma per dopo la pandemia, perché
non torni “tutto come prima”.
Chiesa domestica
Chiesa domestica
Innanzitutto mi sembra che l’attuale pandemia ci aiuti
a riscoprire la realtà della Chiesa domestica.
La chiusura delle chiese dovrebbe aprirci gli occhi e farci
sperare un nuovo modo di essere Chiesa, fatto non soltanto di liturgia e di preghiera,
ma di vissuto
quotidiano, fino a che tutta la vita diventi preghiera e la preghiera vita.
Una delle tante vignette che circolano in questo periodo
riporta un dialogo tra il diavolo e Dio. “Vedi che ti ho chiuso tutte le chiese?”,
dice il diavolo. E Dio gli risponde: “Al contrario, si è aperta una chiesa in ogni casa”.
La missione dovrà credere alla Chiesa nella famiglia, nel
quartiere, e promuovere una autentica Chiesa
domestica, come era all’inizio del cristianesimo. È la Chiesa che si attualizza là dove due o tre sono uniti nel nome di Cristo
(cf. Mt 18, 20). «Chi sono i due o i tre
riuniti in nome di Cristo, in mezzo ai quali sta il Signore? – si domandava Tertulliano
– Non sono forse l’uomo, la donna e il figlio dal momento che l’uomo e la donna
sono uniti da Dio?».
Era quanto aveva sognato il Concilio Vaticano II (ormai
si perde nei tempi), quando chiamava la famiglia «santuario
domestico della Chiesa», che diventa tale «mediante il mutuo affetto dei membri
e la preghiera elevata a Dio in comune» (Apostolicam
actuositatem, 11).
Lumen
gentium afferma che nella famiglia, «che si potrebbe chiamare Chiesa
domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede».
Invita quindi i cristiani laici ad «offrire se stessi come vittima viva, santa,
gradevole a Dio» e a rendere «dovunque testimonianza di Cristo», esercitando così
«il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento,
con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa» (n.
11).
Bene il catechismo in parrocchia, ma questi giorni di chiusura
forzata ci ricordano che forse la prima catechesi va fatta proprio in casa, da genitori,
nonni, zii…
C’è la preghiera dell’Eucaristia, ma c’è anche la preghiera
del mattino, della sera, quella prima dei pasti, il rosario… Non potremmo aiutare
la nostra gente a riscoprire la preghiera domestica? Perché non promuovere una autentica
spiritualità
familiare?
Perché,
ad esempio, non insegnare a prendere sul
serio la liturgia della parola? Il Concilio Vaticano II ha voluto rimettere
in mano ai laici la Sacra Scrittura. Non so quanto cammino abbiamo fatto in questa
direzione. Questo è il tempo propizio per accelerare questo rapporto con la Parola
di Dio.
Potremmo ripetere ai nostri cristiani le parole che Giovanni
Crisostomo rivolgeva ai
padri di famiglia: «Quando ritornate a casa dovreste prendere la Scrittura e con
vostra moglie, coi vostri figli rileggere e ripetere insieme la parola ascoltata
[in chiesa]».
«Ritornate a casa – continuava – e preparate due tavole, una coi piatti del cibo,
l’altra coi piatti della Scrittura; il marito ripete ciò che è stato letto in chiesa...
Fate della vostra casa una chiesa».
Sacerdozio dei fedeli
Questo
è dunque il momento per prendere coscienza
e far prendere coscienza ai laici del sacerdozio comune.
Basterebbe riprendere il testo del Concilio che ho appena
citato, che segue un ricco dettato biblico:
- “offrire se stessi come vittima viva, santa, gradevole
a Dio”. Il dolore della separazione, della mancanza della scuola, dell’insicurezza
economica, della vicinanza forse mai così stretta e prolungata con persone di casa
ammalate, anziane, con problemi fisici e psichici, non è la prima e più grande offerta
del sacerdozio dei fedeli? Non pone in una comunione nuova e consapevole con l’offerta
di Gesù sacerdote che si offre sulla croce? Non sono queste le croci quotidiane?
- rendere “dovunque testimonianza di Cristo”. Forse mai
come in questi giorni le persone sono disposte ad ascoltare, cercano qualcosa di
essenziale e di vero. Perché non approfittare per trasmettere la nostra esperienza
di Vangelo, ciò in cui crediamo? E perché non aiutarli a comunicare a loro volta
le esperienze di fede?
- esercitare il sacerdozio “con la testimonianza di una
vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa”. Forse potremo aiutare a scoprire
la dimensione sacerdotale nel lavoro in ospedale, nei lavori più umili che assicurano
i servizi sociali essenziali, nell’attenzione alle persone più bisognose…
Quanti infermieri e medici in questo periodo stanno esercitando il loro
sacerdozio, negli ospedali, con i morenti! Non è una supplenza
del sacerdozio ministeriale, è l’esercizio pieno, autentico, legittimo del loro
sacerdozio.
Speriamo di tornare in chiesa, più numerosi di prima, e
riscoprire la bellezza e la preziosità dell’Eucaristia, della comunità cristiana,
del servizio dei preti… Ma speriamo che nel frattempo avremo scoperto la
straordinaria vocazione sacerdotale dei laici, un sacerdozio regale che
esercitato con una creatività mai sperimentata prima d’ora, capace di aprire nuove strade alla missione e alla nascita
di tante Chiese domestiche, di vicinato, di quartiere…
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