venerdì 8 maggio 2020

Coronavirus: Un tempo propizio che Dio ci dona / 2


Provo a immaginare qualche pista per la missione non tanto per questo momento, quando si fa quel che si può, ma per dopo la pandemia, perché non torni “tutto come prima”.

Chiesa domestica

Innanzitutto mi sembra che l’attuale pandemia ci aiuti a riscoprire la realtà della Chiesa domestica.
La chiusura delle chiese dovrebbe aprirci gli occhi e farci sperare un nuovo modo di essere Chiesa, fatto non soltanto di liturgia e di preghiera, ma di vissuto quotidiano, fino a che tutta la vita diventi preghiera e la preghiera vita.
Una delle tante vignette che circolano in questo periodo riporta un dialogo tra il diavolo e Dio. “Vedi che ti ho chiuso tutte le chiese?”, dice il diavolo. E Dio gli risponde: “Al contrario, si è aperta una chiesa in ogni casa”.

La missione dovrà credere alla Chiesa nella famiglia, nel quartiere, e promuovere una autentica Chiesa domestica, come era all’inizio del cristianesimo. È la Chiesa che si attualizza là dove due o tre sono uniti nel nome di Cristo (cf. Mt 18, 20). «Chi sono i due o i tre riuniti in nome di Cristo, in mezzo ai quali sta il Signore? – si domandava Tertulliano – Non sono forse l’uomo, la donna e il figlio dal momento che l’uomo e la donna sono uniti da Dio?».
Era quanto aveva sognato il Concilio Vaticano II (ormai si perde nei tempi), quando chiamava la famiglia «santuario domestico della Chiesa», che diventa tale «mediante il mutuo affetto dei membri e la preghiera elevata a Dio in comune» (Apostolicam actuositatem, 11).
Lumen gentium afferma che nella famiglia, «che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede». Invita quindi i cristiani laici ad «offrire se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio» e a rendere «dovunque testimonianza di Cristo», esercitando così «il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa» (n. 11).
Bene il catechismo in parrocchia, ma questi giorni di chiusura forzata ci ricordano che forse la prima catechesi va fatta proprio in casa, da genitori, nonni, zii…
C’è la preghiera dell’Eucaristia, ma c’è anche la preghiera del mattino, della sera, quella prima dei pasti, il rosario… Non potremmo aiutare la nostra gente a riscoprire la preghiera domestica? Perché non promuovere una autentica spiritualità familiare?

Perché, ad esempio, non insegnare a prendere sul serio la liturgia della parola? Il Concilio Vaticano II ha voluto rimettere in mano ai laici la Sacra Scrittura. Non so quanto cammino abbiamo fatto in questa direzione. Questo è il tempo propizio per accelerare questo rapporto con la Parola di Dio.
Potremmo ripetere ai nostri cristiani le parole che Giovanni Crisostomo rivolgeva ai padri di famiglia: «Quando ritornate a casa dovreste prendere la Scrittura e con vostra moglie, coi vostri figli rileggere e ripetere insieme la parola ascoltata [in chiesa]». «Ritornate a casa – continuava – e preparate due tavole, una coi piatti del cibo, l’altra coi piatti della Scrittura; il marito ripete ciò che è stato letto in chiesa... Fate della vostra casa una chiesa».

Sacerdozio dei fedeli

Questo è dunque il momento per prendere coscienza e far prendere coscienza ai laici del sacerdozio comune.
Basterebbe riprendere il testo del Concilio che ho appena citato, che segue un ricco dettato biblico:
- “offrire se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio”. Il dolore della separazione, della mancanza della scuola, dell’insicurezza economica, della vicinanza forse mai così stretta e prolungata con persone di casa ammalate, anziane, con problemi fisici e psichici, non è la prima e più grande offerta del sacerdozio dei fedeli? Non pone in una comunione nuova e consapevole con l’offerta di Gesù sacerdote che si offre sulla croce? Non sono queste le croci quotidiane?
- rendere “dovunque testimonianza di Cristo”. Forse mai come in questi giorni le persone sono disposte ad ascoltare, cercano qualcosa di essenziale e di vero. Perché non approfittare per trasmettere la nostra esperienza di Vangelo, ciò in cui crediamo? E perché non aiutarli a comunicare a loro volta le esperienze di fede?
- esercitare il sacerdozio “con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa”. Forse potremo aiutare a scoprire la dimensione sacerdotale nel lavoro in ospedale, nei lavori più umili che assicurano i servizi sociali essenziali, nell’attenzione alle persone più bisognose…

Quanti infermieri e medici in questo periodo stanno esercitando il loro sacerdozio, negli ospedali, con i morenti! Non è una supplenza del sacerdozio ministeriale, è l’esercizio pieno, autentico, legittimo del loro sacerdozio.

Speriamo di tornare in chiesa, più numerosi di prima, e riscoprire la bellezza e la preziosità dell’Eucaristia, della comunità cristiana, del servizio dei preti… Ma speriamo che nel frattempo avremo scoperto la straordinaria vocazione sacerdotale dei laici, un sacerdozio regale che esercitato con una creatività mai sperimentata prima d’ora, capace di aprire nuove strade alla missione e alla nascita di tante Chiese domestiche, di vicinato, di quartiere


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