Provo a immaginare qualche pista per la missione non tanto per questo momento, quando si fa quel che si può, ma per dopo la pandemia, perché non torni “tutto come prima”
La scoperta delle molte presenze di Cristo
La
privazione dell’Eucaristia di questi giorni pone seri interrogativi. Tanti ne
sentono dolorosamente la mancanza.
L’Eucaristia è indubbiamente il luogo della presenza per
eccellenza di Gesù. La sua definizione di “presenza reale”, ha tuttavia lasciato
un po’ nell’ombra altre modalità di presenza, quasi che quella eucaristica fosse
l’unica presenza “reale”, mentre le altre fossero meno “reali”, o addirittura semplicemente
simboliche.
Il Concilio Vaticano II ha di nuovo messo in rilievo le
molteplici presenze di Cristo, oltre che nell’Eucaristia: negli altri sacramenti,
ma anche nella Parola, tra quanti sono uniti nel nome di Cristo, nei suoi ministri,
nei più piccoli dei fratelli con cui egli si è identificato (cf. Sacrosanctum
Concilium, 7).
La presenza eucaristica, ha scritto Paolo VI, «si dice
“reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia».
Piuttosto che un luogo di Dio isolato rispetto agli altri, essa ha come fine quello
di approfondire le altre presenze di Cristo nella comunità e in ogni suo membro.
Quello
che stiamo vivendo questi giorni può essere l’occasione per ricoprire le molteplici
presenze di Cristo.
Nel
2016 ho scritto un libro Dove sei? I luoghi di Dio, nel quale ho cercato di cogliere i numerosi luoghi d’incontro tra Dio e l’uomo,
tra l’uomo e Dio.
Tra l’altro dicevo che anche il dolore di non poter partecipare
all’Eucaristia – come in ogni altro dolore, a cominciare da quello che tutti affligge
in questi giorni – è una “comunione” con Gesù: «Mi trovo in una situazione che mi
preclude l’accesso all’Eucaristia? È una situazione che mi addolora: proprio questo
dolore può darmi accesso diretto a Dio. Quando rientro nella mia “stanza” non sento
più la voce dell’Amato, mi ritrovo vuoto, nell’aridità, incapace di pregare? È una
assenza che provoca un terribile dolore: proprio questo apre l’accesso a Dio. Il
rapporto con la persona accanto a me, che mi era sacramento di Dio, si frantuma,
così che essa mi diventa ostacolo a raggiungere Dio? È la comunione con Cristo tradito:
proprio questo apre l’accesso diretto a Dio.
Sono i dolori che Cristo ha sperimentato sulla croce. Facendoli
suoi e rivivendoli egli entra nel nostro stesso patire. Ci raggiunge là dove siamo.
In ogni nostro dolore è lui che soffre in noi, Agnello di Dio che prende su di sé
il peccato del mondo. Il mio dolore non è più, è diventato sacramento di Cristo:
rimane lui stesso».
L’Eucaristia rimane “fonte e culmine” della vita della
Chiesa. Ma da lì la presenza di Gesù deve irradiarsi ovunque e informare ogni
ambiente e azione.
Ne nascerebbe una Chiesa capace di trasformare ogni
luogo e ogni azione in contemplazione.
Come nel quadro di Rob Gonsalves che ho qui copiato, la cattedrale si trasforma in città e la città in cattedrale.
L'importanza del rapporto con Dio
L'importanza del rapporto con Dio
Questi giorni di clausura forzata e di mancanza di contatti potrebbero essere l’occasione per farci riscoprire l’importanza del rapporto con Dio, innanzitutto, soprattutto con la preghiera.
È
come quando si pota un albero: le radici si rafforzano.
Che
questi giorni non siano un tempo favorevole per andare in profondità?
Pregare,
farsi operatori di intercessione e di grazie… Anche questo è un ambito prezioso
nel quale esercitare il sacerdozio regale.
Alla fine della pandemia apparirebbe una Chiesa più concentrata sull’essenziale, più silenziosa, più
raccolta, ben radicata in Dio. Una Chiesa meno vistosa, meno affarista, e più
operosa nella carità e nella testimonianza.
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