Il
racconto prosegue con verbi di movimento, di presenza, d’azione. «La sera di quel
giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove
si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù
venne, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi”. Detto questo, mostrò
loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (20, 19-20).
Gesù è
vivo, si muove, “viene”. È il primo verbo. Non è di passaggio, viene per
“stare”, secondo verbo che dice presenza stabile. “Parla” – quarto verbo –,
entra in dialogo.
Secondo
Luca la venuta del Signore portò tra i discepoli spavento e timore, secondo
Giovanni una grande gioia. Avevano già visto la tomba vuota e ascoltato
l’annuncio di luce dell’apostola, ora aspettavano soltanto la sua venuta, e
venne e stette. È la realizzazione della promessa di pochi giorni prima: «Non
vi lascerò orfani, verrò da voi» (14, 18.28).
“Pace a
voi”. Prima ancora che rivolga il saluto di pace la sua venuta e la sua
presenza infondono già la pace e danno una gioia insperata. Nel cenacolo si pregusta
un anticipo di paradiso.
Lo ripete
una seconda volta: “Pace a voi” (20, 21).
L’aveva
promesso: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la
do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (14, 27).
La pace, shalom, è il dono messianico per
eccellenza, che poco ha a che fare con la “pace del mondo”, intesa come
benessere psicologico e assenza di conflittualità.
La sua è
una pace profonda e piena, frutto dell’amore. Permette di conservare la
serenità e la fiducia anche nei dolori, nelle persecuzioni, nelle malattie, nelle
situazioni difficili. Essa nasce dalla certezza che Gesù “sta”, rimane, non ci lascia
mai soli e tutto affrontiamo assieme a lui.
“Mostrò loro le mani
e il fianco”. È il quarto verbo. Gesù non nasconde il suo passato, le sue
sofferenze. Sono la sua gloria, l’evidenza del suo amore.
Nel Vangelo di Luca
aveva mostrato mani e piedi, qui mani e fianco, da dove, secondo il Vangelo di
Giovanni, erano sgorgati sangue e acqua, segno estremo del dono della vita e della
salvezza (19, 34).
Dopo aver
ripetuto il dono della pace, ecco il mandato, comune a tutti e quattro gli
evangelisti, anche se questa volta è formulato nella maniera caratteristica di
Giovanni: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (20, 21).
Gesù ha
compiuto la missione che il Padre gli ha affidato, ora sta alla Chiesa
continuare la sua opera.
Ed ecco
il quinto verbo, la quinta azione di Gesù: “soffiò” sui suoi discepoli. Proprio
come Dio soffiò su Adamo un alito di vita (Gen 2, 7), come nella visione
di Ezechiele soffia sulle ossa aride per farle risorgere (37, 9). È la vita
nuova che nasce dalla risurrezione e che tutto ricrea. Ed è la trasmissione
della stessa energia divina.
«Ricevete
lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a
coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (20, 22-23). Ormai gli
apostoli sono plenipotenziari, hanno in sé la forza dello Spirito Santo, lo
stesso che ha guidato Gesù lungo tutta la sua vita, dal concepimento, “per
opera dello Spirito Santo”, fino a quando dall’alto della Croce “consegnò lo
spirito” (19, 30).
È già
Pentecoste, il tempo dello Spirito Santo, il tempo della Chiesa, il nostro
tempo, con il Risorto che “sta in mezzo” a noi, che ci trasmette la sua pace,
la sua gioia, la sua forza, la sua vita.
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