Non aveva
ancora 17 anni quando terminò la guerra. Aveva vissuto nella paura per sei
lunghi anni. Raccontava di quando, ragazzina, sentendo arrivare un cingolato
tedesco, si era rifugiata in un canneto e aveva visto passare i soldati armati
di mitra. Restò a lungo immobile, col cuore in gola, sperando di non essere
vista.
“Nulla tornerà più come prima”, dicevano a casa. “Non potremo mai più a passeggiare come prima,
andare a incontrare i parenti. Ogni foglia che si muove continuerà a farci paura”.
In questi
giorni mi torna in mente questo racconto di mia mamma, soprattutto il timbro della
voce, capace di trasmettere ancora i sentimenti di tanto tempo addietro.
La guerra
durò sei anni, lasciandosi dietro in Europa 55 milioni di morti e fabbriche, infrastrutture,
città intere rase al suolo.
Sono passati
appena pochi mesi dall’inizio dell’epidemia, le fabbriche, le infrastrutture, le
città sono tutte in piedi, il numero dei morti, tanti, troppi purtroppo, non
hanno raggiunto i 55 milioni. Eppure l’effetto è lo stesso: “Nulla tornerà come
prima”.
La
differenza è che allora, dopo la guerra c’era un’energia incredibile, la voglia
di ricominciare, ora invece un senso di stanchezza. La rabbia che serpeggia non infonde
energia…
Siamo
dunque così fragili?
All’indomani
del dramma dell’Olocausto sorsero tante domande, del tipo: “Sarà ancora possibile
l’arte dopo l’Olocausto?”.
Mi
vengono in mente tanti momenti della storia passata, a cominciare dall’impatto tragico
delle invasioni dei nuovi popoli sulle popolazioni italiche alla fine dell’Impero
romano, le epidemie, le pesti, i cataclismi...
Chi ricorda più la seconda guerra mondiale? Chi
ricorda più l’Olocausto? Chi ricorda più le invasioni barbariche?
Per chi
vive una tragedia sembra sempre sia giunta la fine del mondo, o almeno di un mondo.
Eppure la
vita continua. Nonostante tutto. È più forte. Cancella la morte. Pasqua insegna.
Uno dei
primi giorni del confinamento a casa, alzandomi presto, ho visto l’albeggiare
dietro la cupola di san Pietro. L’aria già pervasa del mistero di una primavera
ancora incipiente. Uccelli impazziti in volteggi acrobatici… Un attimo fugace di
rara bellezza e di pace, preludio d'un'armonia di colori che in un attimo sarebbe esplosa nel cielo. “La natura non sa che c’è il virus”, m’è venuto
spontaneo pensare. È come se gridasse la vita.
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