giovedì 7 maggio 2020

Coronavirus: Un tempo propizio che Dio ci dona / 1



Si riflette molto sugli effetti politici, economici, sociali della pandemia; su come cambierà il mondo della scuola, del lavoro, dello sport...
Credo che dovremmo riflettere anche sulle conseguenze ecclesiologiche, sulla missione, sul nostro stile di vita cristiano.
Questa contingenza, che speriamo passi presto, anche se i tempi si annunciano lunghi, ci aiuta a ripensare la nostra visione della Chiesa, della missione?
Questo è un tempo propizio che dovremo sapere interpretare. Occorre una lettura teologica, sapienziale per cogliere i segni del nostro tempo, per capire quello che, attraverso questa circostanza, Dio sta dicendo a noi e all’umanità.


Come Oblati la capacità di visione e di lettura dei segni dei tempi, dovrebbe venirci dal carisma. Dio ci offre la chance di un nuovo inizio. È l’occasione per ripartire dall’essenziale, è l’appello per un reset.

La Rivoluzione francese non operò forse, come oggi la pandemia, un drammatico cambio di paradigma? Anche allora la Chiesa chiamava a gran voce. Tanti non ascoltarono quel grido e continuarono a vivere come prima, insensibili alle trasformazioni, ai nuovi bisogni. “Finalmente tutto è tornato come prima” si dissero tanti preti quando finì la Rivoluzione, e ricominciarono a celebrare le messe che precedentemente erano state interdette e a riprendere la loro pastorale ordinaria.
Non così sant’Eugenio de Mazenod che si sentì fortemente interpellato dal cambiamento dai profondi cambiamenti. Non sapeva cosa bisognasse fare, non gli era facile leggere i nuovi appelli. Era troppo impregnato della mentalità dell’Ancien regime che, benché non l’avesse vissuta in prima persona, gli era stata trasmessa dalla famiglia. Ha percosso un lento e difficile itinerario di discernimento, fino a quando ha capito che doveva rinunciare alla propria sicurezza, alla propria santità, che avrebbe potuto agevolmente raggiungere in un monastero verso il quale si sentiva attratto, per uscire da sé e dedicarsi alla salvezza e alla santificazione degli altri.
A questo contribuì notevolmente, come sappiamo, il fatto che, mentre assisteva i contagiati, lui stesso fu contagiato dal batterio del colera. L’aver vissuto l’epidemia in prima persona, dal di dentro, lo cambiò e divenne un uomo interamente donato alla Chiesa e ai poveri.

Come lui, anche noi dovremmo ripensare la missione. Lodevole la celebrazione delle messe in streaming. Ma questa nuova situazione non ci insegna altro? Non muove la nostra creatività?
Ci sono tante esperienze positive tra gli Oblati: un contatto più ravvicinato – paradossale in questo tempo di isolamento – con il popolo di Dio a noi affidato, fatto di iniziative per la catechesi ai bambini, con linguaggi e gesti adeguati come testimoniano i video in circolazione; organizzazione di assistenza a domicilio delle persone sole, povere, ammalate o comunque bisognose; chiamate telefoniche personalizzate…
Ma aspettiamo che tutto torni come prima, per rivedere finalmente le nostre chiese piene (sempre meno, purtroppo)?
Forse ci siamo adagiati troppo sui sacramenti, essenziali, indispensabili per la vita cristiana, nessuno lo mette in discussione. Ma la missione domanda di più. Cosa?
Forse questa è l’occasione per pensare ad altri modelli di apostolato parrocchiale e soprattutto e nuovi ministeri al di là delle strutture parrocchiali.


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