Le parole
del Risorto... Bisognerebbe meditare anche sui suoi silenzi.
Quando,
pieni di gioia, i due discepoli di Emmaus tornarono a Gerusalemme, trovarono una
sorpresa: “Davvero il Signore è risorto – dissero loro gli Undici e gli altri
discepoli riuniti – ed è apparso a Simone” (Lc
24, 34). “Come?”, avranno chiesto i due di Emmaus. “Se il Signore stava con noi
come poteva essere anche qui a Gerusalemme?”. Piano piano tutti iniziano a prendere
coscienza che Gesù non è più limitato dal tempo e dallo spazio, ma contiene in
sé tempo e spazio, ed è presente ovunque e sempre: è il compimento della sua
incarnazione.
Gesù è
dunque apparso a Simone.
Secondo l’evangelista
Luca, Pietro è il primo a cui Gesù risorto si mostra. Lo stesso fa intendere Marco
(16, 7) e, prima di lui, lo stesso Paolo, che riporta una antica formula
tramandata dall’inizio, da lui ricevuta e trasmessa a sua volta:
“che
Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture
e che fu
sepolto
e che è
risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che
apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1 Cor
15, 3-5).
E cosa
disse a Pietro?
Ci sono
altre persone, racconta Paolo, a cui Gesù si è rivelato: a cinquecento
“fratelli”, a Giacomo “fratello del Signore” che più tardi reggerà la comunità
di Gerusalemme (1 Cor 16, 6-7). E
cosa ha detto loro? Come per l’incontro con Pietro, non ci è tramandata alcuna
parola del Risorto.
È apparso
allo stesso Paolo, l’unico, tra tutti i testimoni, che racconta il fatto in
prima persona. La sua testimonianza torna di frequente nelle sue lettere:
- “Non ho
visto Gesù, nostro Signore?”, grida nella prima lettera ai Corinti (9, 1)
- “Ultimo
fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (15, 8)
- “E Dio
che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far
risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2 Cor 4, 6).
- “Dio si
compiacque di rivelare a me in Figlio suo” (Gal
1, 16)
- Paolo ha
conosciuto Cristo e “la potenza della sua risurrezione” (Fil 3, 10).
Chiamata,
rivelazione, conoscenza, splendore, visione…, tante parole per dire l’evento, ma
non una parola da parte del Signore, né a Paolo, né a Pietro, né ai
cinquecento, né a Giacomo…
Sicuramente
Gesù avrà parlato a Pietro, ai cinquecento, a Giacomo, a Paolo, ma il suo apparire
è un’esperienza così straordinaria, così sconvolgente, che non ha bisogno di
parole. Il verbo caratteristico della risurrezione è ōphthē: Gesù “apparve”,
si fece vedere. È un’autentica rivelazione che sconvolge la vita. È l’evento
che conta, non la sua spiegazione. Gesù stesso è la Parola!
Vi è un
contatto diretto, immediato tra il Risorto e la persona a cui egli si rivela, capace
di provocare un’unità indicibile, che cambia per sempre la vita.
La forza
di affrontare le persecuzioni e la morte, la costanza nelle prove, il coraggio
dell’annuncio del Vangelo, l’efficacia della testimonianza provengono da questa
esperienza profonda. È questo rapporto personale a dare sapore e senso alla
vita.
L'amore non sempre ha bisogno di parole. Spesso cerca il silenzio.
L'amore non sempre ha bisogno di parole. Spesso cerca il silenzio.
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