giovedì 16 gennaio 2020

Senza barriere. La profezia di Chiara Lubich


“Senza barriere. La profezia di Chiara Lubich”. È il titolo della Conferenza semestrale che oggi il prof. Gennario Iorio ha tenuta al Claretianum, per ricordare il centenario della fondatrice del Movimento dei focolari. Nell’ambito dell’evento sono stato chiamato, come professore emerito, a dare una mia breve testimonianza. Eccone il testo.

Perché dedicare la Conferenza semestrale a Chiara Lubich?
Innanzitutto per celebrare il centenario della sua nascita, come ha ricordato il Preside.
Vi è tuttavia un ulteriore anniversario che possiamo ricordare, piccolo per il numero di anni, ma grande per il significato che esso ha per il nostro Istituto: 15 anni fa le veniva conferito il Dottorato honoris causa, l’unico offerto finora dal Claretianum e l’unico offerto a Chiara dalle Università romane, a fronte degli altri 15 conferitili in ogni parte del mondo.
Conserviamo il video completo di quell’evento; avremo un’altra occasione per rivederlo insieme. Abbiamo la pubblicazione degli Atti in “Claretianum”, 45 (2005) 15-22 (pubblicati anche in brochure in più lingue). Personalmente ho anche la raccolta delle testimonianze degli studenti presenti all’evento; che varrebbe la pena pubblicare.
Tra le motivazioni del Dottorato viene ricordata «la formulazione di una dottrina spirituale di stampo evangelico, innovata, ricca e profonda». In particolare si attesta che Chiara «ha dispiegato con ampiezza tutta nuova gli orizzonti della consacrazione di vita, favorendo l’identificazione con i carismi dei rispettivi Fondatori».

Il mio rapporto personale con lei è iniziato alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e continua anche adesso, dopo la sua morte.
Vorrei ricordare soltanto tre momenti, legati alla vita consacrata.

Il primo risale al settembre 1969, quando per la prima volta partecipai ad un convegno di religiosi indetto dal Movimento dei Focolari. Non ero ancora religioso, stavo per terminare il mio noviziato e avevo poco più di vent’anni.
Fu per me la scoperta della dimensione estetica della vita religiosa.
L’anno precedente Chiara aveva descritto il grande il movimento storico dei carismi nella sua profonda unità e nella molteplice ricchezza della sua diversità. Se Dio, aveva detto, oltre che buono è bello ed è la Bellezza, con la B maiuscola, «la parte estetica… è particolarmente dei religiosi. Forse perché bellezza significa armonia e perché ci sia armonia in un canto occorrono tante note». Anche da solo, affermava poi, ogni carisma è espressione di bellezza, è «un diamante che brilla di luce che nessuno sa far brillare».
Pochi anni più tardi tornando sul tema – «la bellezza di un Ordine religioso è il carisma che brilla» –, notava una particolare affinità con Maria, tutta rivestita della Parola di Dio, la Tuttabella, «piena di carismi». «La Madonna – diceva – è tutta un carisma, non ha niente di giuridico, di gerarchico. Lei è il carisma personificato. Io penso che tutti i carismi che sono nati nella Chiesa ci stanno tutti dentro, in Maria».
Questa bellezza, espressa nell’unità e nella diversità, io la vidi espressa da quei religiosi con i quali mi trovavo per la prima volta. La diversità era evidente dagli abiti religiosi che allora tutti indossavano. Altrettanto evidente era l’unità che regnava tra di loro: avvertivo che erano legati da un profondo affetto fraterno e da una sincera ricerca di Dio.

Un secondo ricordo risale al 1977 quando, in un incontro con i membri del Movimento, Chiara lesse il “Commiato” di don Giacomo Alberione, una sorta di testamento spirituale che il fondatore dei Paolini e Paoline lasciava alla sua grande Famiglia. In quel testo appariva chiarissima la figura del fondatore, con i principali elementi che lo caratterizzano. Chiara, commentandolo, confrontava la propria esperienza con quella di don Alberione. Capii cos’è un fondatore e subito, mentre ancora parlava, mi dissi: questo sarà il tema della mia tesi di dottorato.
Per quella tesi ho analizzato nove fondatori. Fra di essi non c’è Chiara Lubich, ma è guardando a lei, una fondatrice vivente che avevo accanto, che ho potuto preparare il mio lavoro di dottorato.

Un terzo ricordo risale al 1994. Chiara era in Svizzera ormai da quasi due anni, ammalata. Mi domandai cosa avrei potuto fare per lei. Mi ricordai di quando, ancora studente, nel 1974, le avevo consegnato personalmente un’antologia di scritti del nostro fondatore che avevamo appena composto in comunità. Lo lesse d’un fiato, «come si beve un sorbetto», ci disse, aggiungendo: «Se loro, per via del carisma dell’unità, si sentono dell’Opera di Maria, io per via del loro fondatore mi sento “Oblata di Maria Immacolata”». E subito continuò: «Ma io mi sento di tutti gli Ordini: di san Francesco, di san Benedetto...». Lessi poi in un suo diario del 1963: «È proprio della nostra spiritualità imparare dai santi, farci figli di essi, per partecipare del loro carisma».
Mi venne allora in mente di prepara un libro con alcuni suoi scritti sui santi e sui carismi. Quando lo seppe, fu lei a guidarmi nella scelta di quello o di quell’altro passo… Nacque così Cristo dispiegato nei secoli, poi tradotto in varie lingue, che mi fece capire più profondamente la bellezza dei santi e dei loro carismi.

A contatto con così tanti carismi e soprattutto con quello di Chiara Lubich – per 20 anni i superiori mi hanno messo a tempo pieno a servizio del suo Movimento – non avrò perduto la mia identità carismatica? A volte me lo sono chiesto.
La risposta mi è arrivata 10 anni fa quando il mio superiore generale mi ha affidato la direzione degli studi sulla storia e il carisma del nostro Istituto. Penso che anche questo sia un frutto del rapporto con Chiara Lubich e il suo carisma.

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