Da
Gilgamesh a Ulisse a Dante, fino alle migrazioni e agli esodi dei profughi dei
nostri giorni l’essere umano è sempre stato in cammino: homo viator.
Si era
messo in viaggio anche Abramo, da Ur dei Caldei, per andare verso un luogo che
Dio gli avrebbe indicato. Si era messo in cammino il popolo d’Israele verso la
terra promessa. Attraversando il deserto sperimentava cosa significa “camminare
con il suo Dio” (cf. Mi 6, 8), ed era chiamato a scegliere tra la via
della vita e del bene e quella della morte e del male: «Vedi, io pongo oggi
davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché oggi ti comando di
amare il Signore Dio tuo, di camminare per le sue vie» (Deut 30, 15-16).
Si era
messo in viaggio Gesù, verso Gerusalemme, facendosi egli stesso “Via”. Si sono
messi in viaggio i primi discepoli, seguendo il Maestro. Dopo la resurrezione
si sono messi in viaggio i due verso Emmaus e da allora tutta la Chiesa è in
cammino rispondendo al mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo”. Il nuovo
popolo di Dio, come l’antico, si rivela popolo in cammino. Al punto che la vita
dei primi cristiani e lo stesso cristianesimo venivano definiti semplicemente
come “la via”. I cristiani erano “i seguaci della via di Cristo” (Atti
9, 2; cf 18, 25; 19, 9.23; 22, 4; 24, 14.22).
La
parola che Cristo rivolse ai suoi discepoli: “Seguimi” (Gv 21,22), sono
diventate un imperativo assoluto e incondizionato che ha continuato a risuonare
lungo tutta la storia della Chiesa. È un esodo completo da sé stessi e da ciò a
cui si è legati, per incamminarsi dietro a Gesù in un’adesione piena alla sua
persona, al suo messaggio, al suo destino, nella tensione verso la perfezione, in
un continuo crescendo nella santità e nell’amore.
Dopo la
Pasqua non era più possibile “seguire” Gesù. Per Paolo il rapporto con Cristo
si esprime nell’identificazione con lui: essere in lui, lasciare che sia lui a
vivere in noi (cf Gal 2,20), anche se rimane l’esigenza di camminare, anzi
di correre dietro a lui per afferrarlo, così come lui ci ha afferrati (cf Fil
3,13-14). Per Giovanni seguire Gesù significa instaurare una conoscenza mutua e
in una comunione vitale tra il Signore e il suo discepolo, che introduce nel
rapporto di intimità ineffabile che unisce il Figlio al Padre. Seguire non è
più un’azione fisica, ma un reciproco “essere”, “dimorare”, “rimanere” tra il
Signore e i discepoli. Il cammino si spiritualizza e porta dalle tenebre alla
luce, in un esodo interiore dal mondo per entrare – mediante la condivisione
del destino di morte e risurrezione del Signore – nella casa del Padre fino al
possesso della vita eterna.
Eppure
l’esperienza dei discepoli che seguivano fisicamente Gesù sulle vie della
Galilea e della Giudea, rimane per ogni generazione di cristiani il modello a
cui guardare. Con la memoria degli inizi resta viva, nei secoli, il desiderio
di fare la medesima esperienza dei discepoli del Vangelo: camminare con Gesù,
stare con lui nella quotidianità della vita, vivere con lui in un rapporto
dinamico sempre nuovo di comunione, di amicizia, di amore. Questo desiderio ha
dato vita alle molteplici forme di vita religiosa, che trovano nel seguire
Cristo la loro “norma fondamentale” (PC 2a). Ma questo stesso desiderio
apre la strada anche ad ogni esperienza di autentica ricerca di condivisione
del mistero di Cristo e nutre la vita cristiana fino alla piena trasfigurazione
in lui.
Chi più
beato di chi accoglie l’invito di Gesù a seguirlo e decide di rispondervi con
generosità e prontezza? Risuona così, in maniera nuova, la beatitudine già
rivolta al popolo dell’antica alleanza: «Beato chi
trova in te la sua forza / e decide nel suo cuore il santo viaggio» (Sal
83, 6).
La forza viene dalla chiamata: è Gesù che ama per
primo e ci coinvolge nel suo amore. La decisione di seguirlo è risposta d’amore
all’amore. La forza viene dallo Spirito Santo che riversa l’amore nei nostri
cuori e ci rende capace di riamare l’Amore. La vita, che è già un viaggio,
diventa un “santo viaggio”.
A chi mi
chiede
come compiere questo cammino sono solito elencare dieci parole.
Meta. Un viaggio, perché sia tale, si protende verso una
meta. Più questa s’annuncia bella e lontana, più attira. Deve essere seducente
per invitare a protendersi verso di essa, per accendere del suo desiderio e far
bruciare dall’ansia di raggiungerla. Senza una meta non si parte, anche se c’è
chi si incammina senza sapere per dove. Deve sempre brillare dinnanzi. La
nostra meta è l’incontro con Dio, che ci attende al termine del viaggio.
Compagni. Che tristezza viaggiare da soli. Si può
intraprendere un viaggio per affari, per andare a trovare qualcuno… e allora si può anche essere soli. Ma un
viaggio vero, di quelli che si preparano con cura, che non si dorme la notte
prima perché eccitati all’idea della partenza, va intrapreso insieme: il tempo
passa più in fretta, ci si aiuta, ci si incoraggia se capita di sbagliare
strada, si condividono le nuove scoperte, le gioie, le difficoltà. Guai
avventurarsi nel cammino della vita senza compagni di viaggio. Insieme è più
sicuro e la meta è certa.
Mappa. Una volta scelta la meta e i compagni di viaggio, se
non conosciamo bene la strada si studia la mappa. La si tiene
poi sottocchio durante il cammino, per non perdersi. Per noi è la
Parola di Dio, “lampada ai miei passi, luce sul mio cammino”. Indica per dove
passare, i luoghi pericolosi da evitare, le soste più adatte… La consultiamo
ogni giorno per vedere se davvero siamo sulla strada giusta e per capire i
successivi passi in avanti.
Guida. Se non sappiamo la strada, la mappa è utilissima. Ma
se abbiamo una persona che già conosce il percorso, una guida, è tutto più
facile! Non dobbiamo preoccuparci di decifrare i segnali; ci mettiamo nelle sue
mani e siamo tranquilli di arrivare alla meta. Il Figlio di Dio venuto tra noi
la strada la conosce bene: siamo diretti verso casa sua, da dove egli è venuto.
È più di una guida, è proprio la “Via”. Basta ascoltare la sua voce e
seguirlo. Quando non lo vedo o non lo sento ecco che spesso i fratelli si fanno
voce della sua voce. Il cammino sarà sicuro e certa la meta.
Passaporto. Se il viaggio attraversa regioni lontane, abitate da
altri popoli, occorre un lasciapassare, un salvacondotto. La meta ultima del
nostro viaggio è addirittura il Paradiso. Ci vuole proprio il passaporto.
Quale? A quella frontiera troveremo il Signore che domanderà a ciascuno i
propri dati: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare… ero ammalato e siete
venuti a visitarmi…”: passaporto a posto, possiamo entrare; “Avevo fame e non
mi avete dato da mangiare… ero ammalato e non mi avete visitato”: passaporto
non valido, non possiamo entrare. “Alla fine della vita saremo giudicati
sull’amore”, è questo il passaporto per il nostro viaggio.
Fallimento. In un viaggio succede che si sbagli strada e ci si
ritrovi sperduti. Quanti sbagli, quanti fallimenti... Bisogna metterli in
conto, fanno parte del rischio della vita. Anche il viaggio di nostro Signore,
proprio all’ultimo, sembrò terminare in un fallimento. È come se egli avesse
voluto seguirci fuori strada, per esserci accanto anche nei momenti più bui e
deviati. Nella sua parabola, se una pecora del gregge ha perduto la strada e
s’è smarrita, il pastore non l’abbandona, ma va da lei nel luogo perduto… Con
la sua presenza il vuoto si colma, il buio si illumina, la solitudine si
popola.
Ricominciare. Una volta smarrita la strada? Si
ricomincia! Quanto il cammino si fa difficile e duro, la tentazione è quella di
arrendersi: è finita! Invece... si può sempre ripartire.
Passo dopo passo. Il cammino è lungo, occorre mantenere il passo, a
ritmo costante, giorno per giorno. Gesù ci insegna a chiedere il cibo solo per
l’oggi: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Domani chiederemo il cibo per
domani: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue
inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”.
Costanza. Quando il cammino si fa lungo
giunge la stanchezza e si affaccia, insidioso, il pensiero di abbandonare
l’impresa e di tornare indietro. “Chi pone mano all’aratro e poi si volge
indietro…” ammonisce il Signore. È allora
il tempo della fedeltà, memoria dell’amore e garanzia del suo futuro. Avanti,
passo dopo passo, senza scoraggiarsi, anche quando la meta sembra non arrivare
mai. La meta è di chi avrà perseverato fino alla fine.
Progredire. Il cammino si protende sempre in avanti. Non ci si
può fermare nel luogo raggiunto. Mai confondere la tappa con la meta. “Chi
non va avanti va indietro”, ripetevano i Padri della Chiesa, “cammina
sempre, procedi in avanti di continuo: non fermarti lungo il cammino, non
voltarti, non deviare”. È come
quando si risale il fiume in barca, se smetti di remare la corrente ti riporta
indietro. Si può sempre crescere nell’amore. C’è sempre posto per il
nuovo.
Viatico. Lungo il viaggio se non ci si nutre vengono meno le
forze e non si può progredire. Nella traversata del deserto il popolo d’Israele
fu sostenuto dalla manna, Elia si rifocillò con un pane portato dall’angelo.
Anche a noi viandanti il Signore imbandisce una mensa e offre il pane che dà
forza. Parola ed Eucaristia sono il nostro “viatico”, “sostegno per la via”. Lo
chiediamo ogni giorno al Padre: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Dieci
parole, dieci piccole parole per essere davvero beati!