San
Pietro Infine e Venafro, posati ai piedi delle montagne, al confine tra
Campania e Molise, ci aprono dolcemente su ampi spazi sempre più verdi, sempre
più solitari, fino alle foci del Volturno.
Un
cartelle turistico ci guida a sorpresa all’abazia di San Vincenzo al Volturno.
Ho viaggiato più volte in queste zone, ma sempre con la fretta di arrivare a
qualche appuntamento particolare. Questa domenica di sole consente una sosta
fuori programma e, per la prima volta, mi trovo davanti al sito dell’antico
monastero, sorto già nell’VIII secolo, con una storia da favola, tra santità e imperatori
tedeschi, incursioni saracene e normanne…
Non
c’è anima viva, se non una monaca che cammina scelta diretta chissà dove nella
vastità silenziosa. Una solitudine armoniosa tra natura e arte. Presenza mistica
che rimane attraverso i secoli.
Una storia di santità che
continua, con la presenza di don Giussani, che qui ha scritto, inciso su lapide:
Una volta questa compagnia, o questa strada,
aveva un perimetro imponente,
imponente dal punto di vista della robustezza delle mura
e dal punto di vista del suo slancio estetico.
Nulla di più bello e di più affascinante,
nelle lontane epoche, più del monastero.
Le mura erano difesa dai nemici anche fisici,
la bellezza della sua architettura aveva un solo rivale:
la bellezza del canto e della preghiera
che in quelle mura e sotto quelle volte si faceva.
Ora la cosa è diventata più spirituale,
ora la cosa è diventata più sottile, sembra più inconsistente;
non ci sono quelle mura di un metro e più di profondità,
non ci sono quelle volute architettoniche,
quegli spazi che da soli attiravano l’anima,
non c’è più quel suggerimento affascinante
del canto e della preghiera regolare.
C’è una compagnia, quella tra di noi, la nostra amicizia,
una compagnia in cui tutto quanto dipende dalla buona volontà,
dipende dalla volontà dei componenti.
Questa compagnia deve sostituire quelle mura,
deve rintracciare l’eco di quei canti, di quelle preghiere,
deve sapere ispirare uno sguardo
che faccia percepire almeno in qualche modo
l’attrattiva fisica di Dio nella sua realtà dentro il mondo,
l’attrattiva del segno di Cristo, quell’attrattiva che è segno di Cristo.
“Veni Sancte Spiritus. Veni per Mariam”
aveva un perimetro imponente,
imponente dal punto di vista della robustezza delle mura
e dal punto di vista del suo slancio estetico.
Nulla di più bello e di più affascinante,
nelle lontane epoche, più del monastero.
Le mura erano difesa dai nemici anche fisici,
la bellezza della sua architettura aveva un solo rivale:
la bellezza del canto e della preghiera
che in quelle mura e sotto quelle volte si faceva.
Ora la cosa è diventata più spirituale,
ora la cosa è diventata più sottile, sembra più inconsistente;
non ci sono quelle mura di un metro e più di profondità,
non ci sono quelle volute architettoniche,
quegli spazi che da soli attiravano l’anima,
non c’è più quel suggerimento affascinante
del canto e della preghiera regolare.
C’è una compagnia, quella tra di noi, la nostra amicizia,
una compagnia in cui tutto quanto dipende dalla buona volontà,
dipende dalla volontà dei componenti.
Questa compagnia deve sostituire quelle mura,
deve rintracciare l’eco di quei canti, di quelle preghiere,
deve sapere ispirare uno sguardo
che faccia percepire almeno in qualche modo
l’attrattiva fisica di Dio nella sua realtà dentro il mondo,
l’attrattiva del segno di Cristo, quell’attrattiva che è segno di Cristo.
“Veni Sancte Spiritus. Veni per Mariam”
Il
viaggio prosegue fino a San Pietro Avellana, paesino sperduto sui monti, che
visito, anche questo, per la prima volta e che pure mi è caro per le persone
amiche che ritrovo e perché conserva il ricordo del passaggio missionario di mitici
Oblati come padre Abramo, padre Liuzzo…
Un
tuffo nel passato e in una natura sempre più bella e pura.
...e ci sono anche le sorgenti del Volturno, la' vicino...e un affresco con la "mano di Dio"...
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