Il 22
gennaio 1957, vedendo le proprie incoerenze, si domanda: “Tante belle meditazioni
sulla carità, sull’amore, sono dunque state inutili?” e prosegue: “Altro che
Focolare, che ideale!”. Il 22 febbraio 1957, giorno dell’ordinazione
sacerdotale, benedice i focolarini che sono venuti a trovarlo. Pochi giorni
dopo andrà anche in focolare a Torino. Invidia l’atmosfera che vi si respira (10
marzo). Accoglie con gioia “Angiolino dei focolare perché stasera faceva la conferenza sul Papa.
Mi piacque moltissimo il discorso di Angiolino: il
Papa dell'Unità:
anche il Papa, come già il Cristo, ci raccomanda di amarci; di vedere Gesù nel
fratello; di amare Gesù ovunque” (12 marzo).
Presto i
contatti con il Focolare si affievoliscono, anche perché qualcuno dei suoi
compagni, troppo petulante e fervente, glielo rendono un po’ antipatico. Ma
soprattutto Mario non se la sente di legarsi a un Movimento, vuole essere un
uomo libero: “Lo andavo pensando da tempo. Avevo
impiegato cinque anni per conquistare, a prezzo di sforzi, l'ideale del
Focolare; ma quando più mi sentivo tranquillo e ben stabilizzato, tutto è
crollato, ma ora mi è perfettamente indifferente. Gesù è grande! Non è legato a
nessuna formula, ad alcun sistema, ad alcuna idea” (28 marzo 1957). Mario è un
uomo indipendente e cerca una sua vita di santità. Ne rimane però
segnato dall’esperienza. Il 11 dicembre
1958, ad esempio, “secondo l’uso del focolare mi sono scelto una frase della
scrittura…»,
Ciò che soprattutto eredita da Chiara Lubich è il
cuore della sua spiritualità: Gesù Abbandonato.
Già il 26 ottobre 1956 il diario registra
il primo accenno a Gesù abbandonato, quando
esprime il desiderio «che la mia infedeltà diventi Amore e Luce sull'altare
di Gesù abbandonato e sofferente per le mie colpe». 23 novembre
1956: “Anche i miei peccati Egli ha assimilato a
sè,
Egli se ne è totalmente caricato, cosicché
un giorno sul Golgota, questo divino peccatore
scontò un'atrocissima pena, gustando e assaporando
l'amarezza del mio peccato con l'abbandono da parte del Padre. Quando io pecco,
ancora risiedo nel suo Cuore, non vengo respinto dal Padre; Dio non m'abbandona
più, perché in questo dolorosissimo abbandono s'è sostituito Gesù sul Calvario: Gesù
s'è lasciato abbandonare al mio posto (…). Voi poi, fratelli miei, sappiate
che i vostri dolori sono i miei dolori, le vostre gioie, gioie mie; (…) voglio essere
simile a Gesù abbandonato, voglio prendere su
di me tutte le vostre colpe, il vostro male (…) per annullare il vostro
abbandono”.
Il 7
dicembre 1956, si sente “carico di colpe” e di domanda se non sia “come Gesù
abbandonato”. 27 maggio 1957 parla ancora di Gesù abbandonato e di nuovo il
giorno successivo.
Giunto nel Laos, Mario avverte il grido del
dolore che gli si innalza attorno e si sente quasi schiacciato dalla miseria
materiale e spirituale che lo circonda. I testi sono numerosi. “Ora è veramente
notte, la notte di uno dei tanti venerdì della mia vita religiosa: assomiglio
un po' di più a Gesù
abbandonato. (…) La mia notte ha solo una fiaccola: la Fede. Ancora mi piace
credere. E' impossibile che Gesù mi abbandoni, che lo Spirito Santo non venga a
riempire il mio cuore” (14 giugno 1957). “…
nella nostra anima, si frammischiano il tutto
e il nulla: il supremo tutto e l'infimo nulla. ... Intanto medito Gesù
abbandonato perché mi ha preceduto in questa via” (17
giugno 1957).
Il Diario della
mia solitudine comincia con queste parole: “Il grido del dolore. Impossibile
non sentirlo. È davanti al mio cuore di sacerdote e di Padre. Vorrebbero essere
guariti subito, dovrebbe passare Gesù tra di loro. Io lo sostituisco il divino
Maestro che passava facendo del bene a tutti. Almeno lo dovrei sostituire. E il
grido del male che sale al mio cuore. L’urlo al quale nessuno può rimanere insensibile.
È grande come la terra e straziante come il Dolore di Gesù sulla Croce. Perciò
lo devo intimamente sentire. Il mio grido”
Non si sarebbe mai immaginato che il contatto con
la gente lo facessi soffrire così tanto. Sapeva che gli Oblati sono, per vocazione,
i missionari dei poveri, ma che i poveri fossero così poveri non se lo sarebbe
aspettato.
In quel contesto di miseria, di solitudine, di
incomprensione, il grido di Gesù in croce, che Mario aveva sentito riecheggiare
nella sua gente, diventa il suo stesso grido: “Dio mio, Dio mio perché mi hai
abbandonato?. È il grido di Gesù. Io non mi ritrovo più perché non ritrovo più
il Signore. È la solitudine. In marcia verso Phon Hom con la fame che urlava
nello stomaco; in marcia verso Nong Lieng con l’acqua fino alle cosce; in
marcia di ritorno verso Keng Sadok con la disperazione di essere infinitamente
mediocre. Ma non è nulla. Cammineremo ancora” (12 agosto 1958).
Quante volte, negli anni di formazione, aveva
ripetuto: «Ho un solo sposo sulla terra: Gesù abbandonato». Glielo aveva suggerito uno scritto di Chiara
Lubich, intitolato proprio Ho un solo
Sposo sulla terra. Il testo sarà pubblicato soltanto nel 1959, ma Mario
l’aveva letto su un quadernetto ciclostilato che girava per i focolari. La
spiegazione del senso di questo mistero, “Gesù Abbandonato”, lo aveva ritrovato
nel libro di Igino Giordani, La divina
avventura, che ha sempre portato con sé, anche nel Laos, e che raccomandava
alla sorella. Quella meditazione di Chiara l’aveva imparato a memoria, come racconta
lui stesso.
Negli anni
di studio ritornavano sovente nel diario citazioni esplicite di questa pagina
di Chiara, quali: “Tutto ciò che mi fa male è mio”; “ma occorre essere come
Lui, nel momento presente della vita”; o ancora: “Voglio vivere Gesù abbandonato”;
“Voglio essere simile a Gesù abbandonato”.
Allora
era un desiderio, un proposito. Ora, nel Laos, è una realtà, dura e vera. Non
c’è più poesia nel suo diario, ma soltanto smarrimento, desolazione, buio. Non
poteva essere diversamente per un giovane lasciato solo in villaggi sperduti
sulle montagne, in mezzo a difficoltà di ogni genere, tra un popolo dalla
lingua difficile. Il 27 agosto, giorno del
suo 26° compleanno, scrive: “Avevo detto e imparato a memoria che «tutto ciò
che mi fa male è mio». È passato il tempo felice della speranza di essere
santi: è venuto il tempo di esserlo; è passato il tempo soave delle belle
promesse: è venuto il tempo atroce di mantenerle”.
Una delle
ultime pagine del diario, subito prima del martirio, è eloquente: “Io mi sento
molto cattivo, brutale, nervoso nelle risposte e pessimista nei miei pensieri.
(…) oh, se fossi capace di amare: «Tutto quello che mi fa male è mio, ho un
solo sposo qui sulla terra Gesù abbandonato». Oh, se sapessi attendere ognuno
che viene a trovarmi come si attende la visita dell’amato! Se fosse qua il
Signore in persona forse lo amerei un poco di più. Avanti caro Mario, fa di
tutto con entusiasmo per guadagnarti anche un pezzetto di Paradiso. Gesù o si
ama con entusiasmo o non lo si ama per nulla” (29 marzo).
Gesù
abbandonato non è più una realtà da contemplare, non è più soltanto un modello
a cui tendere, non è nemmeno il negativo di chi gli sta attorno; è la verità della vita di Mario, il suo segreto:
Mario stesso è divenuto Gesù abbandonato. Proprio
adesso che si sente così lontano dal diventare santo si compie il suo cammino
di santità. La conclusione a cui giunge è lapidaria: «È assurdo ma posso essere santo. Quindi lo devo».
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