“Il vento è così, non ci può far
niente: essendo vento, gira ovunque e vede ogni cosa. Soffia intorno, ci
avvolge, ci sospinge. È il testimone di tutte le nostre azioni, e a volte anche
il motore. Purtroppo noi, il più delle volte, lo riteniamo solo un fastidio,
qualcosa che ci fa venire mal di testa. Oggi c’è vento, diciamo, meglio non
uscire. Che sbaglio! Dovremmo corrergli incontro, e prendercelo in pieno
addosso; dovremmo metterci nel bel mezzo di dove soffia e farci travolgere,
portar via, scompigliare i pensieri, rivoltar la testa. Dovremmo lasciargli
fare il suo lavoro, che è quello di cambiarci la vita”.
Il vento parla e soprattutto vede,
ascolta… Un po’ ce lo immaginiamo.
Più difficile immaginarsi cosa
fanno le foglie. Anche loro sembra siano particolarmente chiacchierine. “D’altronde,
che altro possono mai fare le foglie? Non hanno mani, non hanno piedi; non
possono abbracciarsi né scambiarsi doni; non possono farsi una cenetta né
guardarsi un film; non possono andar lontano, e nemmeno tornar vicine. Sono
come barche per sempre ancorate a un molo. Non partiranno mai e non torneranno
mai. Hanno solo le parole, le foglie: per questo si parlano molto”.
Così almeno si rassicura Paola
Mastrocola nel libro che ho appena letto, d’un fiato: L’anno che non caddero le foglie. Lei sembra intendersene, visto
che nel libro precedente, Una barca nel
bosco, gli alberi gradualmente invadono la casa del protagonista e
diventano loro i protagonisti.
È una favola meravigliosa con alberi
e foglie, scoiattoli e volti, un gufo e un tarlo, il vento e la pioggia… tutti che
dialogano tra di loro.
È soprattutto una storia
meravigliosa d’amore, o meglio di amori che si incrociano, quello festoso e
dichiarato tra Lina (foglioLina) e Ippi (foglia di ippocastano) e quello
timidissimo e nascosto tra Squirri (scoiattolo) e Volto (volpe), che maturano
fino alla pienezza del dono di sé, pronti a morire perché l’amore dell’altro
viva.
Una favola che fa riflettere
sulla natura e sugli umani interrogativi.
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