In Pakistan: Prescelto è l'ultimo a destra in alto |
Rawalpindi. L’ora pigra del dopo pranzo è la più adatta per
lasciarsi sfuggire le confidenze. Prescelto (nome di battaglia!) ha già sulle
spalle una lunga giornata: si è alzato alle 3 del mattino, ha pregato, ha
riordinato la casa, è stato al mercato, ha preparato i pasti… Quando gli altri
cominciano la giornata lui l’ha già quasi terminata! Lo colgo quindi nel
momento propizio, quando, stanco, non può opporre resistenza ed acconsente a
raccontarmi la sua storia. Un italiano in Pakistan, di questi tempi! Sono così
pochi… E poi non ho ancora capito se è un religioso, se è un prete, se è un
focolarino o se è tutto questo insieme o altro ancora.
“Partiamo dalla fine, mi dice: sono proprio un focolarino,
e ho conosciuto il Movimento tanti anni fa, grazie ad un prete, don Pierino.
Siamo tutti e due di Torino. Lui adesso è nelle Filippine e io qua in Pakistan.
Era il 1957 ed allora ero un religioso, un Fratello delle Scuole Cristiane”.
Avrebbe voluto diventare sacerdote, ma suo papà non se ne dava ragione. “Ti
conosco bene, gli diceva, non ce la farai. Sei un tipo difficile! Ti farai
prete, ma resisterai poco e ti sposerai subito dopo”. C’era già stato un prete
in famiglia che aveva lasciato il sacerdozio e il papà non voleva un altro
scandalo. “Forse è meglio che diventi Fratello, un religioso, senza diventare
prete, così quando poi ti sposerai nessuno si meraviglierà e non sarà uno
scandalo”. Così Giuliano Ricchiardi si era riprovato dai Fratelli delle Scuole
Cristiane, con il segreto desiderio di diventare prete.
Laureato in pedagogia, chiese di poter studiare teologia
per completare la sua formazione dottrinale (ma forse, inconsciamente, c’era
sempre quel desiderio nascosto del sacerdozio). Ed eccolo così a Roma, dal
1962-65, per la licenza in teologia al Laterano.
“Prima di partire chiesi di poterla incontrare. Ricordo
ancora quel momento di luce. Le dissi che ciò che più mi costava era dover
perdere i rapporti così ricchi che avevo con tanti membri del Movimento. E lei:
“E’ l’esperienza di Maria, chiamata a perdere il Figlio suo. Anche lei deve
perdere la cosa più bella che ha”. Infine mi disse se poteva darmi un
consiglio. “Nel Pakistan il nostro Movimento non è ancora conosciuto. Per
almeno sei mesi non parli del Movimento, si faccia solo voler bene e si faccia
stimare professionalmente. Tutto il resto verrà dopo”. Partii con gli indirizzi
dei simpatizzanti del Movimento che erano allora presenti in Asia e con un po’
di bobine registrate per far meditazione. Ero tutto contento di avere con me le
registrazioni delle belle conversazioni spirituali di Chiara. Ma quando uscii
trovai Valeria Ronchetti, una delle sue prime compagne, che da poco era tornata
dalla Russia. E lei mi dice: “Bello che si porti via le bobine, però se posso
darle un consiglio, quando sarà là da solo si metta davanti a Gesù Eucaristia e
ascolti lui… chieda a lui cosa fare, perché non avrà nessuno del Movimento
vicino con cui confrontarsi (era la sua esperienza in Russia)”. Prescelto, che
mi racconta tenendoci in mano la testa calva e bruciata dal sole, mi guarda ora
con un sorrisetto scherzoso: “Sai cosa ho pensato subito? Questo Gesù che parla
non l’ho ancora sentito, andrà bene per lei che è una santa…, ma per me… E
invece quando sono arrivato qui in Pakistan ho provato a fare come lei mi aveva
detto e ha funzionato! Quando invece pensavo di sapere già bene da solo le cose
che dovevo fare e quindi mi sembrava superfluo consultarmi con Gesù Eucaristia,
venivano fuori le difficoltà”.
Poi le vacanze a Murree sulle montagne, senza libri
(“altrimenti che vacanze sono”, mi dice)… Il secondo giorno incontra il vescovo
di Rawalpindi. “C’è un congresso catechistico qui a Murree devi partecipare”. Va
al congresso. Il coordinatore lo invita a parlare. Chiede a una suora italiana
di aiutarlo nella lingua e dà un pensierino sulla “parola di vita” come metodo
catechistico: riassumere l’insegnamento in una parola del vangelo e, la volta
successiva, raccontare le esperienze che nascono da quella parola vissuta. Nasce
il primo gruppo della Parola di Vita, che presto si dilata.
Dopo due anni rientra in Italia: i Fratelli delle Scuole
Cristiane di Torino lo avevano “prestato” al Pakistan per due anni soltanto. Va
quindi dal Fratello visitatore (il provinciale), gli parla del lavoro svolto e
gli manifesta il desiderio di tornare per completare la missione per un anno o
due. Può tornare per altri due anni. Fa venire i focolarini da Manila e iniziano
gli incontro per giovani, ragazzi e ragazze… nascono i gen.
Nel 1969 Giuliano ha un infarto. Si riprende, torna al
villaggio, e di nuovo una ricaduta. La dottoressa lo consiglia di partire prima
della stagione calda. Il giorno di san Giovanni Battista de La Salle, suo
fondatore, riparte per l’Italia.
Nel 1970, subito dopo
l’ordinazione, Prescelto torna in Pakistan. Il vescovo lo manda prima in una
cittadina, Sahiwal, poi in un’altra parrocchia missionaria, Chak Jhumra, dove
nessuno voleva andare: prima c’erano stati degli scandali, poi la chiesa era
stata assalita e data alle fiamme... Attorno c’erano più di 100 villaggi da
visitare. In ogni villaggio un piccolo gruppo di poveri cristiani, contadini,
2, 4, 5 famiglie ghettizzate in un angolo per paese. C’era anche una piccola
scuola, con solo 40 studenti musulmani: i cristiani non avevano accesso. Prescelto
la rimette in sesto. Costruisce un dormitorio per 20 bambini dei villaggi
attorno, tutti tubercolotici per malnutrizione, così che possano frequentare la
scuola. Dopo due mesi gli alunni sono 200, 5 i maestri.
Un giorno arriva una ragazza sul carrettino scortata dalla
zia (le ragazze non possono viaggiare da sole). Vuole diventare focolarina. Lui
vende la chitarra e altre robette, prende un po’ di soldi che gli sono arrivati
da una zia e compra il biglietto aereo per far andare questa ragazza nelle
Filippine dove intanto era sorto il centro del Movimento per l’Asia. La comunità
cristiana si allarga. I contatti con i sacerdoti si fanno sempre più profondi…
Ma è ormai tempo di lasciare il Pakistan per altri lidi:
sette anni a New York, un anno a Trento, due a Roma, quattordici in Africa a
Nairobi. Ed ora, dal 1999, eccolo qui di nuovo nel suo Pakistan, come un
vecchio patriarca.
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