«Ha
salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla
croce e crederemo in lui». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano
allo stesso modo. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà
sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». (Mt
27, 11-54)
Quand’è che Gesù ha salvato il mondo? Quando pronunciava parole
di sapienza e di vita sul monte delle beatitudini o nel tempio di Gerusalemme?
Quando operava i miracoli? Quando la gente lo seguiva e lo osannava? O non sulla
croce, quando non ha più parole da dire.
Tutti invocano, pretendono una sua parola ed egli tace. Sa
soltanto gridare la sua solitudine.
Adesso, le mani inchiodate, non può operare miracoli: li ha
fatti per gli altri, non può farli per se stesso? E il maligno, che ora è
tornato, continua a ripetere la tentazione che già aveva fatto udire nel deserto.
“Cambia i sassi in pani”, diceva allora, ed ora: “Scendi dalla croce e ti crederemo”.
No, non è questa la via della salvezza.
Ora le folle non lo seguono, non lo osannano, lo hanno
piuttosto consegnato in mano degli stranieri ed hanno gridato il crucifige. Anche il Padre sembra essersi
messo dalla parte loro.
È insicuro, deluso, perduto, tutto duole nelle sue membra e
nell’anima, disfatto e sfigurato nel corpo e nello spirito: un povero cristo in
croce come i tanti cristi della terra. Non è più nessuno.
L’amore di Dio non aveva saputo trovare altra strada che
quella della condivisione dei mali che schiacciano le persone amate, quelli di
cui leggiamo ogni giorno sui giornali e vediamo in tv, su internet, e circondano
sulle nostre strade: eccidi, violenze su uomini e donne, bambini e vecchi,
corruzioni, divisioni, falsità, ingiustizie, arroganza, disprezzo dei deboli e
dei poveri, inquinamento di cuori, di menti, di cosmo… Questo ha vissuto e ogni
altro male e peccato e lo ha ammutolito, paralizzato, congelato nella
solitudine dell’inferno.
Ora, ora soltanto Gesù compie l’opera grande che il Padre gli
ha affidato. Lì sulla croce, in quel suo grido, diventa il nostro Dio e Salvatore.
Non a caso l’emblema cristiano è il Crocifisso e l’abbiamo appeso, come segno
della nostra fede, in ogni casa, in ogni luogo del nostro incontro. Non abbiamo
scelto altro emblema per esprimere il nostro essere cristiani. Noi non diremo “Se
sei il Cristo scendi dalla croce e ti crederemo”. Per noi egli è il Cristo
proprio perché si sei lasciato inchiodare sulla croce, proprio perché non è
sceso dalla croce; ed è guadandolo sospeso tra cielo e terra che noi crediamo:
crediamo nel suo amore, il più grande, quello che dà la vita per gli amici, per
noi che gli siamo nemici, fatti amici proprio da questo suo folle amore.
Egli vuole fare di noi i suoi corredentori, che condividano
e assumano i mali del mondo, a cominciare da quelli che albergano nel nostro
cuore.
Come sanare questa nostra società malata? Ci chiama ad
operare come liu: a dire e scrivere parole di sapienza, a moltiplicare i pani,
a sanare malati, a lavorare per la giustizia, ad amare con i fatti… Ma forse
anche per noi l’opera più grande la compiamo quando ci sentiamo e siamo
inutili, ammalati, impotenti… Allora possiamo farci davvero cirenei accanto a Gesù
e portare con lui la croce.
Oggi che la sua croce s’innalza davanti ai nostri occhi,
quella croce che tutti a se attira e compie l’unità, si erge anche la nostra
croce, quella che ci invitata a portare dietro di lui, ogni giorno, per essere suoi
veri discepoli, degni di lui. È quella che ci salva, è con quella che potremo
contribuire a salvare.
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