Pensavo solo a stare a galla ed era
difficile per il mare mosso. Per il momento non si vede nessuna nave
superstite, solo l’aereo che girava basso come un cane arrabbiato e buttò giù
diversi salvagente. Dopo poco ritorna una nave e si ferma in mezzo ai naufraghi,
ma io e qualcun altro eravamo già lontani.
Si sperava che venissero a
prenderci, ma o non avevano i mezzi o era il mare cattivo. Intanto trovai un
palo e mi rincuorai con la speranza che mi facesse da remo per avvicinarmi alla
nave, ma invece comandavano le onde e non c’era niente da fare. Mentre lottavo
con le onde, c’era un altro isolato a pochi metri da me e mi faceva compassione
perché non aveva la ciambella ed io non sapevo avvicinarmi. Cercavo di fargli coraggio
dicendogli: Non si vede ancora nessuno, ma verranno a prenderci. Ma quello non
dava risposta… Poco più distante c’era una zattera con quattro naufraghi
attaccati ai lati ed uno, arrampicato sopra, aveva la testa senza capelli per
l’età; la testa bianca contro il colore scuro del mare faceva contrasto.
Quasi tre ore di quella lotta per la
vita furono lunghe, saliva un groppo alla gola, tremito, crampi, raffreddore,
proprio non si respirava più. Restavano ancora pochi minuti, invocavo la
Madonna di Montenero, vedevo in faccia la morte, pensavo a casa. Quando
finalmente arrivarono i soccorsi: una motobarca italiana arrivata per prima
fece un giro a prendere gli isolati e quando la vidi mi venne spontaneo:
“Questi sono angeli!”. Alzai quel palo che tenevo in mano per farmi vedere e
loro voltarono nella mia direzione. Quando furono a pochi metri mi lanciarono
la fune, ma io gli diedi il bastone e mi tirarono. Mi aggrappai, mi sollevarono
e mi misero sulla barca, quando piangendo gli dissi: Grazie! Gli avrei baciati
come santi! Dopo me, raccolsero l’altro ed altri cinque, come erano ridotti!
Vomitavano, tremavano come vagli, pure io tremavo.
Nonostante che le onde rendessero
difficile il navigare, ci si sentiva sicuri come su terra ferma. Si girò
intorno ai naufraghi per rincuorarli e loro gridavano che si prendessero a
bordo, ma eravamo già al completo ed i marinai gli gridavano soltanto: Si ritorna,
stati tranquilli, state calmi, arrivano gli altri soccorsi.
Il naufrago che mi era vicino non
aveva tregua dalla paura e dal tremito, aveva gli occhi chiusi e gli arreggevo
le mani e la testa e gli dicevo: Stai calmo, siamo salvi, tutto è passato,
siamo vicini al porto, fra poco siamo sulla terra, ringrazia il Buon Dio. Allora
ci portarono noi alla nave ausiliaria. Con tanta pazienza, causa il mare
grosso, gli andarono vicino e ci aiutarono a montare sulla scaletta. Per gli
altri calarono un’altra barchetta e gli misero sopra per portarli su, perché
erano mezzi morti. Dopo, la motobarca ritornò al grande e santo lavoro di salvataggio…
È il racconto del naufragio di mio
padre, una pagina particolarmente cara alla mia famiglia, che leggo ancora una volta nel giorno anniversario della sua morte. La nave sulla quale compiva la traversata nel Mediterraneo, fu
silurata. Sabato 17 aprile 1943. Erano tempi di guerra… Come adesso… Stessi
drammi. Oggi più numerosi di allora.
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