Quando nel 1965 arrivai tra gli
Oblati, a Firenze, fui accolto dal superiore, padre Marino Merlo.
Quando nel 1969 giunsi a Marino Laziale
per il noviziato, mi accolse nuovamente padre Marino Merlo, che con il mio gruppo iniziava per la prima volta a svolgere il compito di maestro dei novizi.
Fu un anno straordinariamente
bello e ricco. Il noviziato, che in quell’anno riapriva i battenti, era nuovo
in tutti i sensi: nuova la casa, nuovo il maestro, nuovo lo spirito, nuova
l'impostazione della struttura, perché erano state appena promulgate le nuove
norme postconciliari Renovationis causam.
Grazie a queste norme per la
prima volta i novizi potevano uscire per le loro prime esperienze pastorali. Fu
così che quell’anno partecipammo alla nostra prima missione al popolo, a
Vallada Agordina, nel Bellunese.
Padre Marino non era uomo della
parola proclamata, non di quella scritta. Ritrovo tuttavia una bella pagina
nella quale parla dell’idea di missione che c’era dietro quella prima
esperienza che facemmo insieme nel 1970:
Bisogna capire anzitutto che
per noi l’apostolicità non è solo sul piano operativo dell’attività, ma
scaturisce dal nostro carisma. Ciò significa che una comunità di Oblati nel suo
stesso esistere, nel suo vivere autentico il dono dello Spirito, annuncia Cristo,
insegna “chi è Cristo”. Questo punto è molto importante perché fa capire che
c’è un equilibrio da scoprire tra una vita di comunità che è tutta esperienza
di questa presenza a cui Gesù ha legato la credibilità dell’annuncio stesso.
In altri termini la comunità
fa un cammino di fede nello Spirito che la porta ad aprirsi alla missione di
Gesù fino al suo pieno compimento: tutti uno in Cristo.
La comunità dei padri e dei
novizi, quando affronta la Missione al popolo, si trasferisce all’interno di
una comunità parrocchiale per vivere insieme a tutti quella conoscenza di
Cristo Salvatore già sperimentata, sostenuti dalla coscienza carismatica della
propria vocazione che libera dalle presunzioni e fa contare unicamente sulla
grazia della missione stessa che è Cristo. Quello che si farà e quanto si dirà
certo non pioverà dal cielo, ma avrà una sua radice in ciò che si è imparato
dalla vita.
Al termine di ogni valutazione
si comprende bene come nel Vangelo i miracoli o i discorsi di Gesù non valgono
più della sua persona, ma valgono solo per la sua persona. Così il discorso che
la Missione fa, avrà credibilità se i missionari renderanno testimonianza al
Signore presente: “sarete miei testimoni”.
Intesa in questo modo, la
missione non pretende convincere nessuno o convertire nessuno, ma vuole solo
offrirsi come “test” di vita cristiana: “da questo crederanno che siete miei
discepoli...”. L’obiettivo perciò che la Missione, così svolta e vissuta,
intende raggiungere non vuole essere altro che quello di lasciare nella
comunità parrocchiale un gruppo di persone (due o più) che vogliono mettersi in
stato di missione (nel senso su detto della comunità). Tra questo gruppo di
persone è importante che ci sia anche il parroco. La Missione deve coinvolgere
anche lui.
La dimensione missionaria
della comunità del Noviziato nel suo dinamismo ordinario si rivolge quasi
prevalentemente al mondo dei giovani. L’attenzione è rivolta ai giovani prima
di tutto perché la comunità del noviziato è sostanzialmente composta da giovani
ed inoltre perché i giovani sono il futuro della società, sono il futuro della
Chiesa e la speranza della Chiesa stessa. In questo continuo rapporto con i
giovani è necessario riuscire a cogliere tutte le nuove realtà, tutte le
ricchezze che le nuove generazioni portano con loro.
In questa continua attenzione
che la comunità del Noviziato deve avere per cogliere tutte le dimensioni
positive presenti nei giovani d’oggi, un notevole contributo è dato dai novizi.
Essi sono parte di quei giovani di oggi che sono rimasti affascinati
dall’incontro con Gesù; un incontro che ha cambiato completamente la loro vita.
Ma nonostante questo cambiamento radicale continuano ad essere figli del nostro
tempo.
Il rischio che la comunità
cristiana, che la Chiesa oggi corre, è quello di perdere il rapporto con le
nuove generazioni. Tale rischio è di fatto superato dai giovani stessi, da quelle
nuove generazioni che sono state rinnovate dall’incontro con Cristo. Avviene
così che non proprio loro — in quanto rinnovati dal Vangelo — ad essere i
principali apostoli della gioventù che è lontana da Dio. Sì, i giovani apostoli
dei giovani. Importa poco se sono novizi o giovani impegnati in parrocchia o in
movimenti ecclesiali. Agli altri giovani, alla gente, non interessa. In loro si
scorge una novità di vita che si chiama Gesù, comunicata con una carica,
un’immediatezza, un linguaggio (inteso nella sua accezione più ampia) che sono
la mediazione adeguata per questi tempi moderni.
L’esperienza poi dice che se
partono i giovani, tutta la comunità si muove: sono i giovani che diventano gli
interlocutori immediati delle famiglie, della massa.
Ho visto padre Marino, per l’ultima
volta, pochi giorni fa. Sorridente come sempre. Mi ha incoraggiato come sempre.
Per me, anche adesso che è appena partito per il cielo, rimane il "maestro”
dei novizi.
Nessun commento:
Posta un commento