È sempre
stato il desiderio
di Dio: abitare
con noi, suo popolo.
Già le prime pagine della Bibbia ce lo mostrano nell’atto di scendere
dal cielo, passeggiare in giardino e conversare con Adamo ed Eva.
Non ci ha creati per questo?
Che cosa desidera
l’amante se non stare con la persona amata? Il libro dell’Apocalisse, che scruta
il progetto di Dio sulla storia,
ci dà la certezza
che il desiderio
di Dio si attuerà in pienezza.
Egli ha già iniziato ad abitare in mezzo a noi da quando è venuto Gesù, l’Emmanuele, il “Dio con noi”. Ed ora che Gesù è risorto la sua presenza
non è più limitata
a un luogo o a un tempo, si è dilatata
sul mondo intero. Con lui è iniziata
la costruzione una nuova comunità umana originalissima, un popolo composto da molti popoli.
Dio non vuole abitare soltanto nella mia anima,
nella mia famiglia,
nel mio popolo, ma tra tutti i popoli chiamati a formare
un popolo solo. D’altra
parte l’attuale mobilità
umana sta cambiando
il concetto stesso di popolo. In molte nazioni il popolo è composto ormai
da molti popoli.
Siamo così diversi per colore della pelle, cultura, religione. Ci guardiamo
spesso con diffidenza, sospetto, paura. Ci facciamo
guerra gli uni gli altri. Eppure Dio è Padre di tutti, ci ama tutti ed ognuno. Non vuole abitare
con un popolo – “il nostro,
naturalmente”, ci verrebbe da pensare
– e lasciare da soli gli altri popoli. Per lui siamo tutti
figli e figlie suoi, un’unica
famiglia.
Esercitiamoci dunque, guidati dalla parola di vita di questo mese, ad apprezzare
la diversità, a rispettare l’altro, a guardarlo
come una persona
che mi appartiene: io sono l’altro,
l’altro è me; l’altro vive in me, io vivo
nell’altro. Cominciando dalle persone con le quali vivo ogni giorno. In questo modo possiamo
fare spazio alla presenza di Dio tra noi. Sarà lui a comporre l’unità, a salvaguardare l’identità di ogni popolo, a creare una nuova
socialità.
Lo aveva intuito Chiara Lubich già nel 1959, in una pagina di estrema attualità
e di incredibile profezia: «Se un giorno gli uomini, ma non come singoli bensì come popoli […] sapranno posporre loro stessi, l’idea che essi hanno della loro patria, […] e questo lo faranno
per quell’amore reciproco fra gli Stati,
che Dio domanda,
come domanda l’amore
reciproco tra i fratelli,
quel giorno sarà l’inizio
di una nuova era, perché
quel giorno […] sarà vivo
e presente Gesù fra i
popoli […].
Sono questi i tempi […] in cui ogni popolo deve oltrepassare il proprio confine e guardare
al di là; è arrivato
il momento in cui la patria altrui va amata come la propria,
in cui il nostro occhio ha da acquistare una nuova purezza. Non basta il distacco da noi stessi per essere cristiani. Oggi i tempi domandano
al seguace di Cristo qualcosa
di più: una coscienza sociale del cristianesimo […].
[…] noi speriamo che il Signore
abbia pietà di questo mondo diviso e sbandato,di questi
popoli rinchiusi nel proprio guscio, a
contemplare la propria
bellezza – per loro
unica – limitata
ed insoddisfacente, a tenersi
coi denti stretti i propri tesori – anche quei beni che potrebbero servire ad altri popoli presso i quali si muore di fame –, e faccia
crollare le barriere
e correre con flusso ininterrotto la carità tra terra e terra, torrente
di beni spirituali e materiali.
Speriamo che il Signore
componga un ordine
nuovo nel mondo, Egli, il solo capace di fare dell’umanità una famiglia
e di coltivare quelle distinzioni fra i popoli, perché nello splendore
di ciascuno, messo a servizio dell’altro, riluca l’unica luce di vita che,
abbellendo la patria terrena, fa
di essa un’anticamera della Patria eterna».
Nessun commento:
Posta un commento