Ieri pomeriggio, camminando per le vie di Aix, mi sono ritrovato alla cattedrale. Era in corso un concerto di archi, ma la navata di destra era libera: porta dritta alla cappella del Santissimo Sacramento, sormontata da un grande affresco della trasfigurazione che mi ha sempre attratto con i suoi colori vivaci.
Non poteva
esserci meta più adatta, nel giorno del Corpus Domini.
Il convegno,
appena iniziato, ci aveva affidato il compito di riflettere sulla nostra “Galilea”,
sul momento dell’incontro con Gesù, inizio per ognuno di noi dell’avventura che ci ha portato a
seguirlo. E sono capitato lì, davanti a Gesù Eucaristia, la mia “Galilea”.
La mia Galilea è nella piccola chiesa di san Paolo, dove il babbo mi portata alla messa. Sarei potuto stare con le donne nella navata, oppure con gli uomini attorno all’altare. Ricordo che quando ero con gli uomini il babbo, durante l’elevazione, chinato su di me, sussurrava e mi suggeriva di ripetere “Signore mio e Dio mio”, la più grande confessione di fede, che da Tommaso continua a scorrere di generazione in generazione. Avrò avuto tre, quattro anni. Il sacerdote elevava l’ostia nel silenzio della chiesa inondato dal tintinnio del campanellino. Ricordo quel silenzio e quel tintinnio. Era Gesù, di nuovo sospeso tra cielo e terra, che si offriva al Padre e univa Cielo e terra. In quella sospensione d’un attimo, eppure eterna, la nostra adorazione: “Signore mio e Dio mio”. Mi sembrava un momento altissimo, misterioso. Forse era vera contemplazione.
È quella la mia Galilea, che ritrovo qui ad Aix, nella cappella del Santissimo Sacramento. Qui il Risorto mi invita a tornare, come invitava i discepoli a tornare in Galilea, per ripartire dalle origini.
Quando ormai il
babbo non era più in grado di parlare, le volte che celebravo in casa per lui,
all’elevazione trovava ancora la forza di ripetere: “Signore mio e Dio mio”.
Domani è l’anniversario della sua partenza per il cielo, dove continua la sua
preghiera.
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