Pio XI,
ricevendo i membri del Capitolo generale del 1926, non nascose la sua
ammirazione per il difficile lavoro dei missionari: «Lo sappiamo, lo sappiano bene quanto gli Oblati hanno fatto nelle
Missioni nell’estremo Nord del Canada, nel Sud Africa, e ala di sotto
l’Equatore. Insomma, sono dappertutto! Ovunque c’è qualcosa che ha a che fare
con il pericolo, la fatica, l’inclemenza del clima, il sacrificio, essi sono là,
sempre i primi. Sappiamo che gli Oblati hanno questa specialità gloriosa e
difficile». Nel capitolo del 1938 il papa tornò sullo stesso argomento in
maniera ancora più esplicita: «Abbiamo sempre detto e pensato, non perché la
frase suoni bene, non perché sia nostra, ma perché risponde a verità e lo
ripeteremo sempre: Gli Oblati, ecco gli specialisti delle Missioni difficili!».
Quanto ci piace questa definizione: specialisti nelle
missioni difficili. Nel suo entusiasmo padre Leo Deschâtelet l’ha arricchita
con un “più”, facendo dire al papa che gli Oblati sono «gli specialisti delle
missioni più difficili». Forse non aveva torto.
Per Pio XI gli Oblati erano gli specialisti delle
Missioni difficili perché la loro azione rispondeva alla sua idea di missione.
Egli è stato definito “il papa delle missioni”.
Oggi tuttavia l’idea di missione è molto diversa da
quella che aveva Pio XI.
Qual è l’idea di missione di papa Francesco? L’ha esposta
chiaramente nell’Evangelii gaudium,
la fa vedere nei gesti che compie ogni giorno. Non parla più di missione, sono
altre le sue parole. Come vorrebbe che fossero oggi gli Oblati? Come potrebbe definirli?
Forse come “testimoni della gioia evangelica”, oppure “esperti della cultura
dell’incontro, mistici dell’incontro”, “uomini delle periferie esistenziali,
con addosso l’odore delle pecore”, “profeti del dialogo”, “specialisti della
misericordia e della tenerezza”…?
Le facoltà delle scienze della missione si stanno
svuotando, le riviste di missiologia scompaiono… segno che i tempi cambiano.
Sapranno cambiare anche gli Oblati?
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