Spesso, sulle nostre labbra, come
su quella dei discepoli, questo titolo rimane un’indicazione vaga. Dire «Gesù
Cristo» può rimanere una designazione come un’altra ed entra con disinvoltura
nel nostro linguaggio senza suscitare il minimo scossone. Ma chi è veramente?
Gesù stesso parla di sé, e lo fa
raccontando con una storia, quella dell’Amore che si dona morendo: «Il
Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani,
dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo
giorno».
Tutta la sua vita e la sua
storia sono condensate nel caricarsi la croce sulle spalle, nell’incamminarsi sulla
via del Calvario, fino ad essere inchiodato, innalzato e spirare dopo un alto
grido. Lì, sulla croce, perché dono infinito, è già pagata la risurrezione sua
e del mondo.
Siamo abituati a vederlo
inchiodato sulla croce, in chiesa, nelle case, nelle aule, sulle cime dei
monti... Crocifissi di gesso prodotti con lo stampo o capolavori d’arte, gioielli
appesi al collo od oggetti di devozione. Ci si può assuefare a tale vista senza
più coglierne la drammaticità e il valore, oppure si può cadere in estasi come
i santi, rapiti da tanto amore e da tanto dolore.
Siamo “cristiani”, portiamo il
suo stesso nome. Quale dunque la nostra identità? Essere un altro Cristo e
quindi un altro crocifisso.
Nel momento in cui Gesù rivela
ai discepoli chi egli è, rivela anche chi essi sono: quelli che prendono la croce
ogni giorno per esservi crocifissi.
Soltanto dopo averlo
“conosciuto” crocifisso e aver compreso l’infinito amore manifestato in quel
gesto, Paolo può accettare di “essere crocifisso” con lui. Soltanto dopo essere
stato rapito dalle sue piaghe, Francesco le vide impresse nella sua carne.
Non occorre cercare la croce,
arriva da sé ogni giorno nei piccoli e grandi dolori che non mancano mai. Cosa
fare: ribellarsi, imprecare? Non saremmo cristiani. Il dolore e la croce sono stati
i mezzi che Cristo ha usato per salvarci. Li usiamo anche noi.
Gesù non li ha scelti: altri glieli
hanno inflitti, ma lui li hai accolti e valorizzati. Non li scegliamo neanche
noi, ma arrivano e li accogliamo con lui per la salvezza nostra e quella degli
altri.
Quello che invece dobbiamo
scegliere è il “rinnegare” noi stessi. È quel deciso “no” a quanto contraddice
il nostro essere cristiani: la disonestà, l’immoralità, l’odio, la vendetta,
rispondere al male con il male, fare ciò che la nostra coscienza ci rimprovera per
il semplice fatto che ormai tutti lo fanno...
Soltanto così saremo suoi veri
discepoli, pronti seguirlo fino nella sua risurrezione.
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