In casa abbiamo un bel quadro raffigurante san Luigi Gonzaga, di cui oggi
celebriamo la festa, con in mano un Crocifisso. Mi sembra la raffigurazione più
adatta a descrivere la sua santità. Vi contemplava, come scrive egli stesso, «la bontà divina, mare senza fondo e senza confini», davanti
alla quale «la mia mente si smarrisce».
Manca invece, nel nostro quadro, un elemento dell’iconografia classica, il giglio,
a simboleggiare la purezza. Ma questa
non è fine a se stessa, serve piuttosto per giungere ad avere lo sguardo puro
che rende capace di riconoscere il volto di Cristo.
È grazie allo sguardo puro dell’amore che san Luigi riconobbe Cristo in un
appestato abbandonato ai margini della strada, se lo prese sulle spalle, lo
portò all’ospedale e ne rimase contagiato fino a morire.
Era spinto dall’amore stesso di Dio. «Il Dio che mi chiama – scriveva ancora
– è Amore, come posso arginare questo amore, quando per farlo sarebbe troppo
piccolo il mondo intero?».
Accanto al giglio occorrerebbe sempre tratteggiare anche la palma del
martirio; il giglio che si tramuta in palma.
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