La letteratura sulla mistica ne analizza
il particolare tipo di scrittura, i termini iperbolici, antitetici, simbolici, i
mezzi stilistici come paradossi, metafore, il massiccio uso di immagini. Si
parla dell’audacia di immagini e simboli, dell’arditezza del linguaggio, che a
volte sembra piegarsi all’esperienza, fino a travolgere la grammatica, la
sintassi, gli stessi vocaboli che vengono reinventati.
Si pone soprattutto in rilievo
l’ineffabilità dell’esperienza, l’inadeguatezza della parola, il silenzio, la
reticenza a comunicare. Eppure, come è stato notato, il mistico «si sente obbligato» a trasmettere, a
dire la propria esperienza «con linguaggio umano, in forza della dimensione
ecclesiale della sua stessa esperienza che non è personale ma dono di Dio da
partecipare agli altri. L’esperienza del silenzio trabocca e tende ad
esprimersi. Chi, come il mistico, ha ascoltato Dio che lo inabita, prova la necessità
di parlare a Dio e di Dio. Si pensi a Giovanni della Croce, mistico per
antonomasia, che ha incontrato Dio nel e come silenzio, nulla, tenebre,
oscurità, notte, ed ha espresso con parole, sia pure inadeguate, la sua
sconvolgente esperienza interiore. Proprio perché il silenzio lo aveva messo in
comunione con l’Assoluto, la parola, che ne è tracimata, ha risposto
all’esigenza di comunione espressa mediante la comunicazione».
L’esperienza si fa mistagogia,
desiderio non soltanto di comunicare l’esperienza, ma di condividerla fino a
coinvolgere nella medesima esperienza.
Ciò è particolarmente evidente dell’esperienza
di Chiara Lubich, che si sente chiamata a introdurre nella propria esperienza,
fino a renderne partecipi. Riguardo alla sua comprensione delle realtà di Dio,
annotava: «Descrivevo così perfettamente ogni cosa alle focolarine che anche
esse “vedevano” nella stessa maniera». L’esperienza che le è dato di compiere
non è per lei soltanto, è veramente carismatica, ossia “per l’edificazione
comune”, “per il bene della Chiesa”, per l’umanità intera.
Come continuare a “dire” e a “dare” quell’esperienza carismatica? È l’interrogativo che si pongono una cinquantina di studiosi di varie parti del mondo, riuniti per tre giorni a Castelgandolfo, nella casa sul lago, in un seminario sulla traduzione dei testi mistici, quelli di chiara Lubich in particolare. Tradurre anche in cinese, arabo, lingue molto lontane dalle nostre lingue latine. Una sfida entusiasmante.
Partecipando e intervenendo al
seminario, condivido la meraviglia per il linguaggio dei mistici. L’arditezza
del loro linguaggio è soltanto riflesso di una ben più profonda arditezza: l’esperienza
stessa che lo Spirito dà loro di compiere. È continuazione di esperienze e
parole ardite che troviamo già nella Scrittura. Vi sono formule più audaci delle
affermazioni di Pietro: “voi siede dei”, o di Paolo: “con-sedete con Cristo”,
sul trono stesso di Cristo, così da vivere e sperimentare dal di dentro la sua
signoria?
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