Gesù se ne va (cf. Mt 26, 24), lo sposo è portato via di
casa (cf. Mt 9, 15). La fede lo crede
ancora presente pur senza vederlo e senza sentirlo, la speranza lo attende
contro ogni evidenza, l’amore lo brama e lo desidera con la forza della
passione. La ricerca riprende con tenacia, con la stessa determinazione della
sposa del Cantico: «Mi alzerò e farò il giro
della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amato del mio cuore». L’esito?
«L’ho cercato, ma non l’ho trovato». La ricerca continua ancora, domandando a
tutti quanti incontra per strada, fino a quando «trovai l'amato del mio cuore.
Lo strinsi fortemente e non lo lascerò». Lo riporta a “casa”, nella sua “stanza”
(3, 1-4). Tutto sembra concluso con esito felice e invece più avanti la storia
si ripete con nuove
perdite e ricerche e ritrovamenti… «Ho aperto allora al mio
diletto, ma il mio diletto già se n'era andato, era scomparso. Io venni meno,
per la sua scomparsa. L'ho cercato, ma non l'ho trovato, l'ho chiamato, ma non
m'ha risposto» (5, 6). È una conversione costante, un ricominciare sempre.
Pur
senza vederlo e senza sentirlo, Dio non sarà forse ugualmente presente nella
stanza segreta che ha promesso di abitare? Lo attendiamo come un dono, non come
una pretesa o come una prometea conquista. Attendiamo il dono di un “cuore
nuovo”, di uno “spirito nuovo”, promesso ad Ezechiele: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito
nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e
vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica
le mie leggi» (36, 26-27). Non è questa la condizione posta da Gesù per venire
ad abitare nel cuore: amare e osservare la sua parola? È dunque un dono
poter aver la stanza degna di essere abitata, ed è un dove che essa venga
abitata. È un dono oggetto di una preghiera costante e fiduciosa: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito
saldo» (Sal
51, 12).
Ogni mattina converrà rivolgersi al
Maestro e con la fede del centurione parafrasare le sue parole, così come ci
insegna la liturgia: «Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, ma
dì soltanto una parola e io sarò guarito» (cf. Lc 7, 6-7).
Ogni mattina conviene rivolgersi alla
“Domus aurea”, a quella casa tutta d’oro che è Maria, e invitarla a venire a
casa nostra – come fece quando andò ad abitare con Giovanni (cf. Gv 19, 27) – perché prepari la stanza
alla venuta del Signore, così come l’aveva preparata nel suo grembo verginale. Se
ne intende.
Se siamo abitati da Dio
non siamo mai soli e niente può più farci paura. Tutto possiamo affrontare con lui
dentro, non c’è ostacolo che possa essere superato, non una meta che non possa
essere perseguita e raggiunta. Ci riscopriamo unici, insostituibili, fino a far
cadere ogni complesso: amati da Dio, inabitati da Dio! Rinasce la fiducia, la
gioia, la speranza, l’entusiasmo, parola questa che, nella sua etimologia
greca, significa proprio “dio dentro”.
sono belle queste cose che stai scrivendo sulla stanza segreta.
RispondiEliminaSono cose che alcuni potranno sperimentare di più e altri di meno, ma che tutti hanno la possibilità di sperimentare, perchè dono gratuito di Dio.