Nei momenti di crisi,
soprattutto di natura economica ma anche politica o valoriale, la prima mossa è
il taglio delle spese per la cultura: prima vivere, poi filosofare. Gli investimenti,
familiari e pubblici, si fanno più selettivi a scapito di quella voce generica
che è appunto la cultura. Si chiudono biblioteche e musei, librerie e case
editrici, teatri e cinema.
Ma è davvero superflua la
cultura? Tante manifestazione di violenza mi sembrano proprio il sintomo di
mancanza di cultura, di imbarbarimento. I guerriglieri di Boko Haran, che
ripudiano i libri occidentali, hanno mai letto un libro della grande
letteratura filosofica, mistica, poetica musulmana? I giovani dell’Occidente
che si arruolano tra i mujaheddin hanno mai visitato la Grande moschea di
Cordoba o la Cappella Palatina di Palermo? Gli arricchiti esosi e spendaccioni di
casa nostra sanno cos’è il mecenatismo. Quanti sgozzano moglie e figli hanno
mai letto Kahlil Gibran, Rabindranath
Tagore, Pablo Neruda, Francesco Petrarca? Meglio una pizza in meno e un libro
in più.
È promuovendo e
coltivando la cultura che possiamo sperare creatività in politica e in
economia, rinascita di etica sociale, gusto per l’impegno nella ricerca. “La
bellezza salverà il mondo” non è soltanto una bella frase retorica.
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