“Lontano
dalle luci della città, il cielo è pieno di stelle. Appena una falce di luna,
ma basta a illuminare gli alberi magri. Nessun rumore se non quello monotono i
grilli, l’ululato del coyote e l’agitarsi delle rade palme mosse dal vento.
Sono in pieno deserto, a qualche chilometro da un minuscolo paese, Sarita, tra
le città di Corpus Christi e Brownsville, nel Texas. La
regione è desertica e solitaria. Acacie, quercioli, cespugli spinosi e un gran
bel caldo secco tropicale, con il sole che picchia. I cervi passano tranquilli
vicino casa; questa sera è venuta a pascolare un intero branco. I tacchini
selvatici sono alti e snelli, lontani parenti di quelli di allevamento. Non ho
ancora visto né gli armadilli né i cinghiali. I serpenti per fortuna sono in
letargo. In cielo volano solenni i rapaci”.
Era il 13 dicembre 2010 quando scrivevo questa pagina
di diario. Mi trovano nell’antica villa del ranch della famiglia Kenedy, che si estende per 400,000 acri e che,
assieme al ranch della famiglia King, occupa la maggior parte del Deserto
Cavallo Brado, la vasta area di confine tra Texas e Messico. Nel
1961 la villa divenne noviziato degli Oblati e dal 1973 è casa di preghiera.
Attorno una quindicina di casette, veri e propri eremitaggi per un’esperienza
di assoluto silenzio, di preghiera, di solitudine.
p. Francis Kelly Nemeck |
Allora – nel 2010 – vi incontrai l’Oblato p. Francis Kelly Nemeck,
che aveva fondato e ancora guidava la casa di preghiera, a cui aveva dato il
nome di Lebh Shomea, una parola ebraica che significa “cuore docile”, e si
espira alla preghiera di Salomone: “Signore, concedi al tuo servo un cuore
docile… che sappia distinguere il bene dal male” (1 Re 3, 9).
Nell’America rumorosa ci vuole un luogo di silenzio e
di pace per trovare la via alla contemplazione. E p. Francis era uomo di
contemplazione. Così mi diceva: «Dio
invita ognuno di noi ad abbandonarsi amorevolmente a Lui, almeno in punto di
morte. Le nostre vite sono animate da ricerca di contemplazione, sia che
dormiamo sia che vegliamo, sia che lavoriamo sia che preghiamo, sia
nell’attività che nella passività. L’attrattiva verso la contemplazione viene
dall’azione immediata e diretta nel nostro spirito da parte di Dio che ci
conduce inesorabilmente all’unione trasformante con Lui in ogni nostra azione e
in tutto il nostro divenire. Personalmente mi ritrovo in un’osservazione fatta
nel 1924 dal padre Teilhard de Chardin: “Che io sia nell’azione o che preghi,
che io dischiuda il mio spirito con il lavoro, o che Dio lo invada con le
passività, dal di fuori o dal di dentro, io ho coscienza di unirmi... Del
resto, io sono in Cristo Gesù; e solo
dopo agisco, soffro, o contemplo”».
Pochi giorni fa è partito per il Cielo. Adesso è in
piena contemplazione.
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