«Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 6).
L’immagine della camera
segreta ha un suo fascino. Richiama il senso dell’interiorità e dell’identità
personale, la possibilità di stare se stessi, senza la necessità di mettere la
maschera o di recitare una parte. Chi ha la fortuna di avere una stanza tutta
per sé, sa quanto sia salutare e riposante entrare, chiudere la porta, e
assaporare il silenzio, la pace, la libertà. Può adornarla secondo i propri gusti,
che aiutano a ricordare, a pensare, a pregare… Per gli adolescenti di una volta
era il luogo dei sogni, dell’elaborazione del futuro, della maturazione. Ce ne
ha offerto uno spaccato Nanni Moretti nel film La stanza del figlio.
La stanza di cui parla Gesù è
metafora di un rapporto personale, sincero, affettuoso che ogni persona è
chiamata a instaurare con Dio. La stanza a cui si riferisce non è quella di un
albergo, impersonale e distaccata, ma quella di casa (nei villaggi della
Palestina la casa era spesso costituita da una sola stanza), la “tua” camera.
Che si tratti della stanza di casa lo dice soprattutto la persona con la quale
Gesù invita a parlare: non un estraneo o un conoscente, ma il Padre.
L’invito di Gesù non ha tuttavia
a che fare con una stanza reale. Usa l’immagine per stigmatizzare certi
atteggiamenti oranti fatti soltanto di esteriorità, motivati dal desiderio di
ostentazione. Da quando era partito da Nazareth egli non aveva più stanza né
casa, neppure una pietra dove posare il capo. Di notte, al mattino presto, di
giorno, era solito uscire in luoghi solitari per immergersi nella preghiera,
nel dialogo con il Padre: «Al mattino si alzò quando ancora era buio e,
uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc 1, 35); «Congedata
la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava
ancora solo lassù» (Mt 14, 23). Era
risoluto nel lasciare quanti lo cercavano e
avevano bisogno di lui, per coltivare il rapporto con il Padre, comprendere il
senso e la modalità della missione che gli era stata affidata, per attingere la
forza che lo avrebbe alimentato nella sua opera, la luce che avrebbe espresso
nelle sue parole.
È indispensabile, come faceva
Gesù, “chiudere la porta” della stanza, avere il suo stesso coraggio di gettare
nel Padre ogni preoccupazione distaccandosene, di svuotare il cuore donando al
Padre persone e cose, di essere libero per poter stare con lui. I maestri di
vita cristiana parlavano di “raccoglimento”…
L’interiorità suggerita dall’entrare
in stanza non è il solipsismo egoistico di che se ne vuole stare in pace con se
stesso. La stanza non è vuota e solitaria. Vi si entra per uscirne verso
un’altra dimensione. Essa si spalanca sul cielo infinito, come accadeva a Gesù
quando si ritirava da solo in posti solitari. È il luogo nel quale si può
avviare un colloquio fatto di parole o di silenzi, un’intesa, un rapporto di
comunione e d’amore.
La stanza, il segreto del
cuore, è dunque un luogo privilegiato per l’incontro con Dio, al punto da
diventare stabile dimora di Dio stesso, come ha promesso Gesù all’apostolo
Giuda: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).
A Mosè Dio aveva promesso che, una volta costruito il santuario
egli si sarebbe reso presente in esso (cf. Es
25, 8), così si rendeva presente nella tenda del convegno (cf. Es 29, 45). Lo stesso ripeterà a
Ezechiele (37, 26-27) e agli altri profeti. Adesso Gesù, nella pienezza dei
tempi, ci rivela che ogni credente è destinato a diventare tempio e casa di
Dio, luogo della sua presenza. «Non sapete che siete tempio di
Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1
Cor 3, 16; cf. 6, 19; 2 Cor 6,
16).
Perché andare alla ricerca di luoghi di Dio tanto lontani, quando io stesso
sono fatto da Dio luogo di Dio?
Essere inabitato da Dio e poter colloquiare con lui: è il
compimento della vocazione umana. Siamo stati creati come il “tu” di Dio,
capace di stare davanti a lui in un rapporto personale, diretto, fatto di
conoscenza, di amore, di amicizia, di comunione. Io “sono” nel momento in cui
Dio mi rivolge la parola e mi rende capace di rispondergli. Gli dico Padre e mi
scopro figlio. Sono stato creato per parlare con Dio, per entrare in rapporto
con lui. È questa capacità che mi rende persona. È l’acquisizione
dell’autocoscienza, il momento dell’umanizzazione. Lo stare a tu per tu davanti
a Dio costituisce la mia caratteristica essenziale, è ciò che mi costituisce
uomo.
Dio è avvertito più intimo a sé di sé stessi. «Non uscir
fuori, torna in te stesso – scrive sant’Agostino –: è nell’uomo interiore che
abita la verità» (De vera religione,
3, 72). Poiché il cristianesimo è la «nascita sempre nuova del Verbo nel cuore
dei santi» (Ad Diognetum 11, 4), i
mistici – ossia coloro che hanno colto e sperimentato il nucleo centrale del
Mistero cristiano – sperimentano la trasformazione del proprio essere in Cristo
e quindi in Dio. Ad iniziare dall’apostolo Paolo: «Non sono più io vivo è
Cristo che vive in me» (Galati 2,
20).
Scrivo con commozione una sola parola : Grazie .Il brano ci porta nella luce della parola di Gesù e nella vita del Figlio che insegna come possiamo rivolgerci al Padre con lo stesso amore figliale deposto nel nostro cuore come parte essenziale della nostra umanità .In questa stanza interiore invito spesso i miei amici e lì il nostro amore fraterno si fa presente e ci lega intimamente. Pierangela
RispondiEliminaho meditato sul tuo blog "la camera segreta/1" ed é stato un bagno di divino, un immergermi nell'amore di Dio.e sentirmi avvolto dal Suo amore.
RispondiEliminaGrazie infinite per accompagnarmi nel s.viaggio ed essere una "guida" che mi fa puntare sempre alla meta: Gesú.