Mi è venuta alla
mente la figura del primo compagno di sant’Eugenio, espulso dalla comunità,
anche se non se ne conoscono i motivi. Il suo nome, si diceva agli inizi, “non
sarà più pronunciato tra di noi”. Al punto che nel primo documento della
Società dei Missionari di Provenza, il documento fondativo, la sua firma è stata
raschiata fino a bucare il foglio! Sparito completamente…
Mi è venuta alla
mente la figura di Giuda. Che diverso trattamento ha avuto nei Vangeli. Il suo
nome non è stato cancellato, ma conservato con cura nell’elenco dei Dodici. Non
si vergognano di dichiarare che è “uno dei Dodici”. Così lo si ricorda nell’ultima
cena, quando Satana entra i lui: “era uno dei Dodici” (Lc 22, 3); nell’orto
degli olivi, nel momento del tradimento, lo si qualifica ancora come “uno dei
Dodici” (Mt 26, 47; Mc 14, 43; Lc 22, 47). Lo stesso in Giovanni
(6, 71; 12, 4; 13, 2).
Non viene depennato dall’elenco dei Dodici. Lo si conserva con l’appellativo: “colui che poi lo tradì” (Mt 10, 4; Mc 3, 19), “che divenne il traditore” (Lc 6, 16). L’ultima apparizione nel Vangelo di Matteo lo designa ancora come “colui che lo tradì” (27, 3) e in Giovanni come “colui che stava per tradirlo”, “il traditore” (18, 2.5). Gli Atti degli Apostoli, al pari dei Vangeli, non cancellano Giuda: è colui che “ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava” (1, 25).
Chissà con quanta
tristezza veniva nominato. Non si smetteva comunque di nominarlo. Non si poteva
non nominarlo: Gesù l’aveva chiamato, dopo aver passato una notte in preghiera;
l’aveva chiamato anche se sapeva che lo avrebbe tradito; l'aveva tenuto con sé, aveva vissuto con lui,
rivelando anche a lui l’amore del Padre, mostrando per lui il proprio amore come a
tutti gli altri, fino a chiamarlo “amico”. L’ha tenuto con sé fino alla fine.
Non poteva espellerlo prima che accadesse il peggio? Non ha voluto dividere la
zizzania dal grano buono.
Giuda è addirittura
presente nell’enunciato del kerigma stesso: “Io, infatti, ho ricevuto dal
Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in
cui veniva tradito, prese del pane…” (1 Cor 11, 23). È una formula antichissima, che Paolo aveva
ricevuto e che quindi lo precedeva. Per parlare dell’ultima cena,
dell’eucaristia, il momento più prezioso del dono di Gesù, c’era proprio
bisogno di ricordare che quello era il momento del tradimento? Bisognava
proprio che Giuda fosse presente anche nel kerigma? Come lo è presente quando nella liturgia
preghiamo con la III preghiera eucaristica. Giuda è sempre lì, ogni giorno.
Perché non è stata rimossa la sua imbarazzante presenza?
È un fatto sul quale occorre riflettere. La tentazione è sempre quella di avere una Chiesa di catari, di puri, che scarta i peccatori. A forza di scartare chi vi rimarrebbe, oltre Maria? Abbiamo vergogna di coloro che macchiano la nostra famiglia? Dobbiamo buttarli fuori? (dove?). Se non l’ha fatto Gesù, se non l’ha fatto la prima comunità cristiana, perché dovremmo farlo noi? Occorre il coraggio e l’umiltà per accettare tra di noi il tradimento, l’infedeltà, come l’hanno accettato Gesù e la prima comunità.
È d’obbligo citare l’omelia
che don Primo Mazzolari tenne il 3 aprile 1958, Giovedì Santo, dedicata proprio
a “Giuda, il traditore, Giuda mio fratello”: «Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io
non lo so. È uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione
del Signore. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi
un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di
assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho
tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E
chiamandolo fratello, noi siamo nel linguaggio del Signore. Quando ha ricevuto
il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle
parole che non dobbiamo dimenticare: “Amico, con un bacio tradisci il Figlio
dell’uomo!”».