Nella mia recente e breve visita a Viterbo sono stato ospite dei
Cappuccini. Il grande p. Ubaldo Terrinoni mi ha fatto dono di un bellissimo
libro con brevi profili di tutti i santi dell’Ordine. L’ho guardato e gli ho
detto che ne mancava uno. È rimasto un po’ sorpreso. In effetto quello che
manca non è stato dichiarato santo… ma lo è. Così mi sono ripromesso di
mandargli quanto scrissi sulla rivista “Prato storia e arte” nel 1983, in
occasione del centenario della nascita di p. Evangelista da Prato. Eccone la
storia meravigliosa:
“Il P. Cristoforo, descritto dal Manzoni, è il
Cappuccino di tutti i tempi e di tutti i
luoghi: è la personificazione e l’apoteosi della dedizione completa, onde questi miti
Frati curarono il bene di tutti, e portarono il loro validissimo contributo
alla vita cristiana dei popoli. Chi disse il Cappuccino, il frate del popolo
per eccellenza, non fece
che una fedele fotografia di lui; perché, o che egli venisse dalle più alte
classi sociali, o dalle ricche famiglie borghesi, o dall’umile ceto degli operai e dei contadini, sempre si è
sentito portato agli umili, e per questi ha speso tutte le sue energie, ha con sacrato tutto il suo
cuore, ha sacrificato tutto se stesso. Che se ciò è vero per tutti i luoghi. lo è particolarmente in
Toscana. In questa regione, così prediletta dal serafico Padre, che conta in essa Conventi e Frati da
superare in numero quelli di ogni altra regione, il Cappuccino è tutto del popolo. Lui nelle
carceri, lui negli Ospedali, lui nei cimiteri, lui tra i derelitti, lui nelle
caserme co’ soldati, nei Seminari coi giovani
leviti, nelle fraternità come cappellano e rettore” (T. De Carpi, Per la pietà cristiana, in Memoriale dei FF.
Minori Cappuccini della Toscana nel IV
Centenario della loro Provincia
(1632-1932), edito da P. Felice da Porretta. Firenze 1932, p. 325).
Quando nei 1932, in occasione del IV centenario della Provincia toscana dei Cappuccini,
il Prof. Talete De Carpi scriveva queste parole, elogiative e un po’ di
maniera, ma sincere, P. Evangelista da Prato stava per terminare il suo servizio all’ospedale di S. Maria Nuova a Firenze. La sua permanenza in
ospedale, durata 14 anni e interrotta prima dalla chiamata alle armi e poi da un breve periodo
che lo aveva visto Guardiano a Poppi, aveva fatto di lui il classico cappuccino
“tutto del popolo”, umile, semplice, alla buona, capace di comprendere e di incoraggiare.
Aveva ormai 50 anni quando lasciò S. Maria Nuova. Aveva già dato
il meglio di sé. Ma gli rimanevano ancora 30 anni da spendere al servizio della gente per i vari conventi della Toscana dove, di volta in volta,
lo inviava l’obbedienza: Lucignano, Cortona, Poppi, Borgo S. Lorenzo, Montepulciano,
Monte Casale. di nuovo Cortona e finalmente Montughi, a Firenze.
Mi sono chiesto se, a 100 anni dalla sua nascita, valesse
la pena rievocare la figura del P. Evangelista da Prato, al secolo - come si diceva una volta - Tommaso Ciardi. Per noi ragazzi di S. Paolo era una
istituzione. Mi ricordo quando arrivava a piedi lungo la via S. Paolo ancora
sterrata. Spuntava dalla curva del “Fiaschino” con in mano la sua valigetta a
fisarmonica e l’ombrello, rari pezzi d’antiquariato. Come si faceva a sapere che arrivava? Semplicissimo! Non c’era nemmeno bisogno
che ce lo dicessero. Il canapè della nonna era un
indizio più che sicuro: veniva scoperto della fodera, così da mettere finalmente in luce i suoi colori originali, in due sole
occasioni: la festa di S. Paolo (quando venivano tutti i parenti da Galciana) e
l’arrivo del non meglio identificato “zi’ cappuccino” (solo molti anni dopo ho saputo il suo
nome).
A parte i miei ricordi
di ragazzo vale la pena tirare fuori dall’oblio questo
vecchio cappuccino pratese? Mi sono me so allora a girare per i conventi della Toscana alla ricerca di sue
eventuali memorie. Dal punto di vista turistico un viaggio meraviglioso, che mi
ha portato nei più bei luoghi del Casentino, in conventi romiti, immersi nei
verde dei lecci e dei cipressi, tra paesaggi ancora freschi e silenziosi. Dal punto di vista
documentaristico un fallimento. Poche righe qua e là nelle più che scarne
cronache dei conventi. Tutt’al più si viene a sapere che con l’eredità proveniente dalla sorella
Iginia ha fatto costruire la linea elettrica che da Cortona porta la luce al convento delle Celle.
Mi confermo nell’idea che già mi ero fatto di lui: un uomo scarno, di poche
parole (non è mai stato un grande oratore), essenziale in tutto.
Se non ha lasciato tracce nelle carte ha lasciato
invece un ricordo vivissimo nei frati. Tutti quelli che l’hanno conosciuto me ne parlano con
venerazione, direi quasi con affetto.
Un “uomo di altri tempi”, un “frate all’antica”: è il sigillo che quasi
inevitabilmente conclude, con tratto sintetico, il ricordo dei frati quando
parlano di Fra Tommaso. Elogio, presa di distanza, una venatura di giudizio, o
una certa nostalgia? Forse un po’ di tutto questo insieme.
“Tutti conosciamo la vita santa del Padre Evangelista - scrive Fr. Luigi da
Firenze, Guardiano di Montughi, all’indomani della sua morte avvenuta il 6 dicembre 1961 -, per cui non
vi sarebbe bisogno di tesserne lodi. Tuttavia, se un elogio si deve tributare,
si può benissimo esprimere
in queste parole: Egli fu un cappuccino ottimo, ripieno dello spirito di san
Francesco, indefesso al lavoro, per la gloria di Dio e la salute delle anime” (Luigi da Firenze, Lettera circolare in occasione della morte del P. Evangelista da
Prato,
Firenze, 7 dicembre 1961).
Potrebbe sembrare un elogio troppo generico, buono per
tutti, se non venisse da uno che lo conosceva bene, da uno che fu suo
discepolo, forse attratto alla vita cappuccina proprio dal suo esempio eloquente. Quando P.
Evangelista era Presidente all’ospedale di S. Maria Nuova, scrive ancora Fr. Luigi nella medesima
circostanza, “ebbi la fortuna di conoscerlo, mentre ero ancora nel secolo, ed
indelebilmente è impressa nella mia mente la figura ascetica di questo
autentico francescano. Alto, magro, svelto, umile, riserbato, gentile: tale mi appariva quando lo incontravo
per le vie della città, mentre, infaticabile, si alterna- va tra le opere di bene; io mi voltavo ad
osservarlo e lo seguivo con lo sguardo fino a che lo perdevo di vista, come si guarda una figura singolare,
un uomo di altri tempi, una creatura che si distacca nettamente da tutti gli altri: un vero uomo di Dio”. (continua)
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