Su Città Nuova di settembre la nona puntata di "Viaggiare il Paradiso"
Nella valle di Primiero le giornate cominciavano ad
accorciarsi e i larici a tingersi di giallo. L’estate di fuoco si stemperava
davanti all’autunno ormai alle porte. La natura cambiava il suo abito, ma
Chiara sembrava non accorgersene. Immersa nella contemplazione del cielo,
viveva più dentro che fuori.
Igino Giordani racconta che quando, in quei giorni, salì a
trovarla, la vide così assorta in Dio, nella sua vita interiore, che si
spaventò per la sua salute: non prendeva più neppure il povero pasto cucinato
nella baita. Una sera, tornando dal bosco di conifere, si fece coraggio e le
disse: «Non ci hai insegnato che il supremo amore è Gesù Abbandonato? Ora, per
lui e con lui, abbandona Dio per Iddio, il Paradiso per la terra, dove puoi
avviare tante anime al Paradiso. Lascia un po’ gli angeli e torna con noi
uomini. Per amore di Gesù Abbandonato». Chiara scoppiò a piangere: «Devo dunque
abbandonare il Paradiso?». «Sì, Chiara, questo ti chiedono i tuoi figli». Si
ritirò in camera e, sola con Dio, vergò quella dichiarazione d’amore che è la
quintessenza della sua spiritualità: «Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù
Abbandonato. Non ho altro Dio fuori di lui. In lui è tutto il Paradiso con la
Trinità e tutta la terra con l’Umanità». Era il 20 settembre 1949.
Fu così che Chiara lasciò le Dolomiti per tornare a Roma.
Una lettura attenta del suo libro, Paradiso’49, rivela che già nei giorni precedenti aveva avvertito
un’attrattiva e una chiamata verso «l’umanità che soffre». Significativa la
preghiera del primo settembre: «Signore, dammi tutti i soli... Ho sentito nel
mio cuore la passione che invade il tuo per tutto l’abbandono in cui nuota il
mondo intero. Amo ogni essere ammalato e solo: anche le piante sofferenti mi
fanno pena..., anche gli animali soli. Chi consola il loro pianto? Chi
compiange la loro morte lenta? E chi stringe al proprio cuore il cuore
disperato? Dammi, mio Dio, d’esser nel mondo il sacramento tangibile del tuo
Amore, del tuo essere Amore: d’esser le braccia tue che stringono a sé e
consumano in amore tutta la solitudine del mondo». È l’esperienza di tutti i
grandi mistici: più si avvicinano a Dio, più si sentono pervadere dal suo amore
per l’umanità; più salgono in alto, più sentono la spinta a ridiscendere,
percorrendo lo stesso cammino del Figlio di Dio che ha rinunciato al suo essere
uguale a Dio per venire ad abitare con noi.
Chiara comprese, pur nel dolore, che «quanto era stato
patrimonio o dono di Dio all’Anima», ossia a lei stessa e a quanti, partecipi
del medesimo dono, erano diventati tra loro un’anima sola, «ora entrava tutto
in ciascuno di noi. Saremmo tornati nel mondo a edificare l’Opera, portando nel
cuore, ciascuno, tutto quel Cielo».
Chiara lasciò Tonadico ma non lasciò il Paradiso, o meglio,
il Paradiso non lasciò lei. L’esperienza di luce vissuta in montagna continuò a
Roma. Quel testo del 20 settembre 1949, Ho
un solo Sposo sulla terra, che abitualmente si pensa chiuda il periodo di
luce, si trova invece a metà del Paradiso’49,
che Chiara continuò a scrivere, narrando le sue esperienze, fino al 22
settembre 1951.
A quel punto iniziò piuttosto un modo nuovo di vivere le
realtà del Cielo, nell’impatto che esse avevano con la vita quotidiana di un
dopo-guerra difficile. Roma assurgeva a cifra della condizione della società di
quel tempo: non c’erano alloggi sufficienti, mancava il lavoro, numerosi
migranti arrivavano soprattutto dal sud, non c’era un progetto. Insomma, la
città era degradata dal punto di vista sia materiale che morale. «Se io
guardo questa Roma così com’è – scriveva pochi giorni dopo la sua discesa in
città – sento il mio Ideale lontano… Il mondo con le sue sozzure e vanità ora
la domina nelle strade e più nei nascondigli delle case dov’è l’ira con ogni
peccato e agitazione». A questo sguardo esteriore si sovrapponeva però uno
sguardo d’amore che le veniva dalla luce del Paradiso e che le faceva credere
possibile la risurrezione di Roma e dell’umanità intera, inondata dal fiume di
fuoco dell’amore di Dio.
Era una fase nuova del suo “viaggiare il Paradiso”,
l’attuazione di quanto contemplato, come scriveva lei stessa: «Il Cielo dunque
che vidi quest’estate lassù e che vivevo, ora lo vivo quaggiù con maggior
pienezza di vita. Allora era più visione che vita o tanta visione quanta vita
unite, ma non così uno come lo sono ora. Ora sicut in coelo et in terra. La terra è il mio Cielo».
Gustare il Paradiso
«Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerLo vivo e traboccarLo
sugli altri come fiotti di Vita e risuscitare i morti. E tenerLo vivo fra noi
amandoci […]. Allora tutto si rivoluziona: politica e arte, scuola e religione,
vita privata e divertimento. Tutto».
La vita cristiana, anche nella sua più alta contemplazione,
è impegno concreto per ridare il vero significato all’umano, al sociale. È far
vivere Dio in noi e tra noi, così che egli possa far tutto risorgere e portare
a compimento.
Stupendo proprio cosi ....Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerlo vivo e traboccarlo sugli altri.
RispondiEliminaLa nostra Italia, la nostra Roma o Palermo che sia non è meno brutta, sporca, corrotta,senza lavoro, con migranti moderni dal Sud Italia (come i nostri avi ieri) e del sud del mondo oggi... rispetto al '49 ma la risurrezione è sempre possibile perché Lui ha detto : "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo "e...Lui ha vinto il mondo