giovedì 6 settembre 2018

La terra è il mio Cielo


Su Città Nuova di settembre la nona puntata di "Viaggiare il Paradiso"

Nella valle di Primiero le giornate cominciavano ad accorciarsi e i larici a tingersi di giallo. L’estate di fuoco si stemperava davanti all’autunno ormai alle porte. La natura cambiava il suo abito, ma Chiara sembrava non accorgersene. Immersa nella contemplazione del cielo, viveva più dentro che fuori.
Igino Giordani racconta che quando, in quei giorni, salì a trovarla, la vide così assorta in Dio, nella sua vita interiore, che si spaventò per la sua salute: non prendeva più neppure il povero pasto cucinato nella baita. Una sera, tornando dal bosco di conifere, si fece coraggio e le disse: «Non ci hai insegnato che il supremo amore è Gesù Abbandonato? Ora, per lui e con lui, abbandona Dio per Iddio, il Paradiso per la terra, dove puoi avviare tante anime al Paradiso. Lascia un po’ gli angeli e torna con noi uomini. Per amore di Gesù Abbandonato». Chiara scoppiò a piangere: «Devo dunque abbandonare il Paradiso?». «Sì, Chiara, questo ti chiedono i tuoi figli». Si ritirò in camera e, sola con Dio, vergò quella dichiarazione d’amore che è la quintessenza della sua spiritualità: «Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù Abbandonato. Non ho altro Dio fuori di lui. In lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità». Era il 20 settembre 1949.
Fu così che Chiara lasciò le Dolomiti per tornare a Roma.

Una lettura attenta del suo libro, Paradiso’49, rivela che già nei giorni precedenti aveva avvertito un’attrattiva e una chiamata verso «l’umanità che soffre». Significativa la preghiera del primo settembre: «Signore, dammi tutti i soli... Ho sentito nel mio cuore la passione che invade il tuo per tutto l’abbandono in cui nuota il mondo intero. Amo ogni essere ammalato e solo: anche le piante sofferenti mi fanno pena..., anche gli animali soli. Chi consola il loro pianto? Chi compiange la loro morte lenta? E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato? Dammi, mio Dio, d’esser nel mondo il sacramento tangibile del tuo Amore, del tuo essere Amore: d’esser le braccia tue che stringono a sé e consumano in amore tutta la solitudine del mondo». È l’esperienza di tutti i grandi mistici: più si avvicinano a Dio, più si sentono pervadere dal suo amore per l’umanità; più salgono in alto, più sentono la spinta a ridiscendere, percorrendo lo stesso cammino del Figlio di Dio che ha rinunciato al suo essere uguale a Dio per venire ad abitare con noi.
Chiara comprese, pur nel dolore, che «quanto era stato patrimonio o dono di Dio all’Anima», ossia a lei stessa e a quanti, partecipi del medesimo dono, erano diventati tra loro un’anima sola, «ora entrava tutto in ciascuno di noi. Saremmo tornati nel mondo a edificare l’Opera, portando nel cuore, ciascuno, tutto quel Cielo».

Chiara lasciò Tonadico ma non lasciò il Paradiso, o meglio, il Paradiso non lasciò lei. L’esperienza di luce vissuta in montagna continuò a Roma. Quel testo del 20 settembre 1949, Ho un solo Sposo sulla terra, che abitualmente si pensa chiuda il periodo di luce, si trova invece a metà del Paradiso’49, che Chiara continuò a scrivere, narrando le sue esperienze, fino al 22 settembre 1951.
A quel punto iniziò piuttosto un modo nuovo di vivere le realtà del Cielo, nell’impatto che esse avevano con la vita quotidiana di un dopo-guerra difficile. Roma assurgeva a cifra della condizione della società di quel tempo: non c’erano alloggi sufficienti, mancava il lavoro, numerosi migranti arrivavano soprattutto dal sud, non c’era un progetto. Insomma, la città era degradata dal punto di vista sia materiale che morale. «Se io guardo questa Roma così com’è – scriveva pochi giorni dopo la sua discesa in città – sento il mio Ideale lontano… Il mondo con le sue sozzure e vanità ora la domina nelle strade e più nei nascondigli delle case dov’è l’ira con ogni peccato e agitazione». A questo sguardo esteriore si sovrapponeva però uno sguardo d’amore che le veniva dalla luce del Paradiso e che le faceva credere possibile la risurrezione di Roma e dell’umanità intera, inondata dal fiume di fuoco dell’amore di Dio.
Era una fase nuova del suo “viaggiare il Paradiso”, l’attuazione di quanto contemplato, come scriveva lei stessa: «Il Cielo dunque che vidi quest’estate lassù e che vivevo, ora lo vivo quaggiù con maggior pienezza di vita. Allora era più visione che vita o tanta visione quanta vita unite, ma non così uno come lo sono ora. Ora sicut in coelo et in terra. La terra è il mio Cielo».

Gustare il Paradiso

«Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerLo vivo e traboccarLo sugli altri come fiotti di Vita e risuscitare i morti. E tenerLo vivo fra noi amandoci […]. Allora tutto si rivoluziona: politica e arte, scuola e religione, vita privata e divertimento. Tutto».

La vita cristiana, anche nella sua più alta contemplazione, è impegno concreto per ridare il vero significato all’umano, al sociale. È far vivere Dio in noi e tra noi, così che egli possa far tutto risorgere e portare a compimento.

1 commento:

  1. Stupendo proprio cosi ....Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerlo vivo e traboccarlo sugli altri.
    La nostra Italia, la nostra Roma o Palermo che sia non è meno brutta, sporca, corrotta,senza lavoro, con migranti moderni dal Sud Italia (come i nostri avi ieri) e del sud del mondo oggi... rispetto al '49 ma la risurrezione è sempre possibile perché Lui ha detto : "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo "e...Lui ha vinto il mondo

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