domenica 30 settembre 2018

Visita all’isola San Giulio e a Madre Cànopi



Vidi la prima volta l’Isola San Giulio di Orta in un pomeriggio piovoso, di fine settembre. Arrivavo da Roma, dov’era ancora estate, e per contrasto mi pareva che qui l’autunno fosse ormai inoltrato. Il grigio uniforme del cielo si specchiava nel grigio plubeo del lago, in tenue gradazioni di colori con i tetti di ardesia, la pietra del campanile e delle case isolate. In quel chiarore cinereo, il verde folto della riviera si adombrava di toni misteriosi e placidi.
Appena giunta nella piazzetta di Orta, la mia prima impressioni fu di trovarmi in una quiete inattaccabile e che niente, fra le case, i portici e l’imbarcadero, stridesse con quella quieta. Non un’insegna, un rumore, una presenza animata, una tenda di finestra, un uscio, un dettaglio artificioso e estraneo all’ordine colto del paesaggio. Mi sentivo arrivata in un’epoca indefinita e non databile, piena di richiami ad un passato ancor vivente.
Sul traghetto di linea ero l’unica passeggera. In pochi minuti arrivammo presso l’Isola, l’aggirammo da settentrione e così ebbi modo di vederla subito tutta…
Scesi da sola, in un silenzio che ne mio ricordo si fa perfetto.
Oltre la riva irregolarmente lastricata, accidentata dai nodi di grosse radici, gli edifici impongono d’impatto il senso del luogo, ci si accorge subito che è uno spazio religioso e che lo è da lungo tempo…


È la stessa sensazione che ho provato anch’io. Anch’io, alla fine di settembre, sono sceso a piedi dalla statale fino ad Orta, lungo l’acciottolato, i mezzi pubblici non vi giungono. Anch’io, dopo aver percorso l’unica strada, quasi un tunnel tra le case, mi sono trovato nella piazzetta, sul bordo del lago, silenziosa e vuota. L’unica differenza è che sono giunto di mattina, e il cielo velato di nubi si è presto aperto in un sole vigoroso.

La pagina che ho citato è della grande storica del monachesimo femminile Mariella Carpinello, tratta dal libro Il segreto del chiostro, 1996.
Sapendomi a Domodossola la Carpinello mi ha pressato perché visitassi l’Isola San Giulio, respirassi l’aria di questo piccolo mondo antico, perché mi lasciassi compenetrare dagli affreschi della cattedrale che domina l’isola, dal fascino misterioso della storia di secoli rappresa in un piccolissimo lembo di terra, perché ammirassi il pulpito, il più originale che si possa pensare, perché rievocassi la genialità di Guglielmo da Volpiano, partecipassi alla liturgia monastica… tutti appelli che non ho disatteso. Ma soprattutto voleva che incontrassi la monaca più famosa d’Italia, la madre Anna Maria Cànopi, da lei prevenuta sul mio arrivo.


L’ho incontrata. Mi attendeva, minuta e sorridente, avvolta nell’ampio abito abbaziale, con la croce appesa ad una lunga catena. Ormai consumata dagli anni e dal lavoro, molto debole, ha lasciato il seggio per la sedia a rotelle.
Quando nel 1973, su richiesta del vescovo di Novara, venne a fondare il monastero sull’isola dai molti edifici ma deserta e invasa dai rovi, portò con sé cinque sorelle, una ragazza la trovò in paese, prima di traghettare. Ora sono un centinaio. A pranzo in foresteria, dove eravamo 15 ospiti, ho conosciuto una donna che nello stesso giorno entrava in monastero, la sesta di quest’anno; la settimana verrà due giorni dopo…
Nonostante la sua rinomanza, la forte presenza nella Chiesa italiana, i suoi sostanziali contributi nel campo della liturgia e della spiritualità, madre Cànopi, si è presentata con grande semplicità, continuando a ripetere che tutto è opera di Dio e che lei è un suo piccolo strumento. Pur fragile appare maestosa, abitata da Dio. Non potevo non chiederle di benedirmi e l’ha fatto con grande solennità, dopo aver preteso che io la benedicessi per primo.


1 commento:

  1. Ho conosciuto Madre Cànopi casualmente, perché ero alla ricerca sulla gioia di Maria per il mio elaborato per il Baccalaureato. Ho scoperto una donna innamorata dell'eternità. Basta leggere anche solo poche righe per capire quanta profondità c'è in lei. E' davvero un dono per la Chiesa.

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