Camposampiero.
Per la prima volta mi trovo nei due santuari che raccolgono la memoria di sant’Antonio
da Padova: quello nel quale gli è apparso Gesù bambino che ha preso in braccio
e quello nel quale vi era il noce con sopra la capanna che lo ha visto abitare
gli ultimi tempi della sua vita.
Sono
qui con la Segreteria del Movimento Carismi per l’Unità, alla quale, tra l’altro,
indirizzo una parola, seguendo il tema che mi è stato affidato, dal titolo “Carismi
al centro”. Riporto il testo del mio intervento:
“Carismi
al centro”: espressione difficile, che potrebbe prestarsi a qualche equivoco.
Al centro di cosa? Della nostra vita di persone chiamate a partecipare ad un
carisma? delle nostre comunità? della Chiesa? (In Ripartire da Cristo si
legge in proposito: «i carismi dei fondatori e delle fondatrici, essendo stati
suscitati dallo Spirito per il bene di tutti, devono essere di nuovo
ricollocati al centro stesso della Chiesa» (n. 31).
Il contesto del nostro incontro
individua facilmente il “centro” a cui si fa riferimento: al centro dei rapporti
tra laici e consacrati partecipi del medesimo carisma. È proprio il comune
carisma che fa da collante tra le molteplici espressioni della Famiglia
carismatica.
Prima di inoltrarci in questo
tema, occorre una premessa, ovvia ma che deve essere sempre richiamata: al
centro sempre e ovunque sta Cristo. Lo ha ripetuto tante volte papa Francesco.
Possiamo ascoltare ad esempio quello che disse ai membri di Comunione e
Liberazione, incontrati in massa in Piazza San Pietro a 60 anni dall’inizio del
Movimento fondato da don Luigi Giussani:
Dopo sessant’anni, il carisma
originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il
centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando
metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio
modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi
nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore! Per
questo, quando Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parla dei carismi, di
questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico, termina parlando
dell’amore, cioè di quello che viene da Dio, ciò che è proprio di Dio, e che ci
permette di imitarlo. Non dimenticatevi mai di questo, di essere decentrati! (7
marzo 2015)
Nell’Esortazione apostolica Evangelii
gaudium aveva ricordato il compito a cui sono chiamati i carismi
all’interno della Chiesa, vedendoli convergere pienamente verso il centro
stesso Chiesa, che è naturalmente Cristo Signore, per offrire la propria spinta
evangelizzatrice. I carismi
non sono un patrimonio chiuso,
consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; piuttosto si tratta di regali
dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è
Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice.
Per questo, come leggiamo sempre
in Evangelium gaudium, «È nella comunione […] che un carisma si rivela
autenticamente e misteriosamente fecondo» (n. 130). Una comunione che vogliamo
vivere ad ampio raggio, tra tutte le componenti ecclesiali e in particolare –
per quanto ci riguarda in questo momento – tra le Famiglie carismatiche.
La Famiglia carismatica
Come sappiamo l’invito a ravvivare
la Famiglia carismatica è emerso in modo particolare in occasione dell’Anno
della vita consacrata. Una delle attese di papa Francesco riguardava
innanzitutto la comunione tra i diversi Istituti:
Mi aspetto – leggiamo nella Lettera
d’indizione – che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Non
potrebbe essere quest’Anno l’occasione per uscire con maggior coraggio dai
confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale,
progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali? In
questo modo potrà essere offerta più efficacemente una reale testimonianza
profetica. La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un
cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le
proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si
apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva
dalla malattia dell’autoreferenzialità».
La Lettera prosegue con una nuova
richiesta, molto più ampia. Il Papa domanda la condivisione tra l’insieme delle
vocazioni, maschili e femminili, religiosi, secolari e laicali, legate all’uno
o all’altro Istituto, condividendo lo stesso carisma. Questo insieme di realtà il
Papa le chiama, forse per la prima volta, “Famiglia carismatica”. Il testo
inizia riferendosi ai laici, ma subito si estende alle molteplici espressioni con
cui è vissuto un medesimo carisma:
Con questa mia lettera, oltre che alle
persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con
esse, condividono ideali, spirito, missione. Alcuni Istituti
religiosi hanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più
recente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle Società
di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più
grande, la “famiglia carismatica”, che comprende più Istituti che si
riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristiani laici che si sentono
chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare della stessa
realtà carismatica.
La Lettera si sofferma in modo
particolare sui laici, senza tuttavia dimenticare gli altri gruppi – la
“famiglia”:
Incoraggio anche voi, laici, a vivere
quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può rendervi più
consapevoli del dono ricevuto. Celebratelo con tutta la “famiglia”, per
crescere e rispondere insieme alle chiamate dello Spirito nella società
odierna. In alcune occasioni, quando i consacrati di diversi Istituti
quest’Anno si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti anche voi
come espressione dell’unico dono di Dio, così da conoscere le esperienze delle
altre famiglie carismatiche, degli altri gruppi laicali e di arricchirvi e
sostenervi reciprocamente.
Gli incontri che Papa Francesco ha
avuto successivamente con le Famiglie carismatiche è stata l’occasione per
mettere nuovamente in luce questa realtà e per incoraggiare il cammino
intrapreso in questa direzione. Ricordo solo quello con i Camilliani, dove tra
l’altro il Papa indica nel “carisma al centro” la peculiarità della Famiglia
carismatica:
Dal carisma suscitato inizialmente in
San Camillo, si sono via via costituite varie realtà ecclesiali che formano
oggi un’unica costellazione, cioè una “famiglia carismatica” composta di
religiosi, religiose, consacrati secolari e fedeli laici. Nessuna di queste
realtà è da sola depositaria o detentrice unica del carisma, ma ognuna lo
riceve in dono e lo interpreta e attualizza secondo la sua specifica vocazione,
nei diversi contesti storici e geografici. Al centro rimane il carisma
originario, come una fonte perenne di luce e di ispirazione, che viene compreso
e incarnato in modo dinamico nelle diverse forme. Ognuna di esse viene offerta
alle altre in uno scambio reciproco di doni che arricchisce tutti, per
l’utilità comune e in vista dell’attuazione della medesima missione. (…) Cari
fratelli e sorelle, vi incoraggio a coltivare sempre tra voi la comunione, in
quello stile sinodale che ho proposto a tutta la Chiesa, in ascolto gli uni gli
altri e tutte e tutti in ascolto dello Spirito Santo, per valorizzare l’apporto
che ogni singola realtà offre all’unica Famiglia, così da esprimere più
compiutamente le molteplici potenzialità che il carisma racchiude. Siate sempre
più consapevoli che “è nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma
si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo”. (18 marzo 2019)
Il carisma bene comune
Abitualmente si pensa che il
carisma sia una realtà di cui religiosi e religiose sono detentori, perché
generalmente all’inizio esso si attualizza in una comunità di consacrati.
Il rapporto religiosi-laici è
pensato su un modello che richiama quello tolemaico della terra al centro con
il sole e altri pianeti che gli ruotano attorno. Al centro, nel nostro caso, ci
sono le persone consacrate – spesso del primo “ramo”, abitualmente maschile –,
detentrici del carisma, attorno alle quali ruotano, a cerchi concentrici e a
distanze più o meno ravvicinate, prima le persone che intendono condividere il
carisma, la spiritualità, la missione dell’Istituto, poi quelle che collaborano
con l’aiuto e la preghiera, infine quelle che sono beneficiarie del carisma e
che rimangono legate affettivamente in segno di gratitudine.
Forse occorre adottare il sistema
copernicano, con il sole al centro e i pianeti che gli ruotano attorno. Al
centro, nel nostro caso, si colloca il carisma e attorno, a cerchi concentrici,
ruotano le differenti vocazioni illuminate dal carisma. L’“astro” più vicino al
sole può essere l’Istituto di persone consacrate che per primo lo ha ricevuto e
lo ha incarnato, poi altre persone che partecipano in forma diversa alla sua
vita.
L’Istituto di persone consacrate
che vive del carisma non ne è detentore esclusivo, lo accoglie sempre come dono:
ed esso trascende l’Istituto e può essere colto e attuato in maniera diversa da
altri soggetti. Basti pensare a quante istituzioni è stato capace di dar vita
il carisma di san Francesco, e ancora sorgono nuove espressioni che ad esso si
rifanno: ruotano tutte attorno al suo carisma, non attorno agli antichi Ordini
francescani. Il carisma rimane un dono di cui non ci si può appropriare e che
sempre sorpassa i destinatari.
Chi rende partecipi i laici del
carisma? Lo Spirito che, come lo ha donato alle persone consacrate, lo dona
anche ai laici. È lo Spirito che chiama a condividere una esperienza particolare
di vita evangelica. Lo stesso, analogamente, può dirsi quando sorgono altre
aggregazioni, spesso di vita consacrata, che si ispirano allo stesso fondatore.
Da parte dei consacrati occorrerà,
come hanno fatto i fondatori e le fondatrici, testimoniare una esperienza di
vita, mostrare la ricchezza, la bellezza, l’efficacia del carisma e con questo
attirare e suscitare il desiderio di condividere la medesima esperienza. Da qui
la sintonia, la consonanza vocazionale e carismatica dei laici con l’esperienza
suscitata nel fondatore-fondatrice e testimoniata dalle persone consacrate che
per prime li hanno seguiti. Un carisma vissuto per anni o secoli nella forma
della consacrazione, può essere vissuto nel modo laicale, in seno alla
famiglia, nell’ambito del lavoro, della politica e rivelare così nuove
dimensioni nascoste del carisma.
Se in altri tempi sono stati
soprattutto i religiosi e le religiose a creare, nutrire spiritualmente e
dirigere forme aggregative di laici, oggi può succedere che siano i laici a
coinvolgere i religiosi e le religiose e ad aiutarli anche nel loro cammino
spirituale e pastorale, come affermava parecchi fa l’Esortazione postsinodale Christifideles laici: «... gli stessi
fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro
cammino spirituale e pastorale» (n. 63). La comunione e la reciprocità nella
Chiesa non sono mai a senso unico.
Non è anche questo un modo di
vivere la sinodalità? Come riconosce la Commissione teologica internazionale
nel denso documento intitolato La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa,
la grande sfida della Chiesa oggi è «intensificare la mutua collaborazione di
tutti nella testimonianza evangelizzatrice a partire dai doni e dai ruoli di
ciascuno, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i chierici,
evitando in ogni caso la tentazione di “un eccessivo clericalismo che mantiene
i fedeli laici al margine delle decisioni” (EG 102)» (n. 104). La
partecipazione alla vita della Chiesa – e anche delle Famiglie religiose – dei fedeli laici è essenziale, perché questi «sono
l’immensa maggioranza del Popolo di Dio, e si ha molto da imparare dalla loro
partecipazione alle diverse espressioni della vita e della missione delle
comunità ecclesiali, della pietà popolare e della pastorale d’insieme, così
come dalla loro specifica competenza nei vari ambiti della vita culturale e
sociale» (n. 73).
Un carisma al centro dei carismi?
Potremmo adesso chiederci: perché
ci troviamo qui, rappresentanti dei carismi più vari? cos’è che ci lega tra di
noi? Indubbiamente il carisma dell’unità dato alla Chiesa attraverso Chiara
Lubich. Questo vuol dire che al “centro” c’è il carisma dell’unità?
Penso valga la pena rileggere una
pagina del Paradiso ’49 nella quale Chiara ha una particolare
comprensione di Maria. È un testo noto perché riguarda proprio gli inizi,
un’esperienza del 18 luglio, anche se il testo è stato scritto diversi anni
dopo:
il Verbo di Dio mostrò Maria S.S. Mai
anima umana la vide così grande. Era più grande di Dio: fatta da
Dio più grande di Sé. Fino allora Maria m’era stata raffigurata come la luna,
più grande delle stelle, che mi rappresentavano i santi, meno del sole che
rappresentava Dio. Ora La vedevo come il cielo azzurro che
conteneva e sole e luna e stelle. Tutto era in lei. (cpv 53-55)
Si dice qui – commenta Chiara – che
Maria, “il cielo azzurro”, conteneva e sole
e luna e stelle. Conteneva dunque anche la luna, cioè persino se stessa. Ella,
infatti, quale madre di Dio, contiene il Figlio di Dio, i santi ed anche se
stessa. (nota 63)
Il giorno successivo all’evento, il
19 luglio, aveva scritto in una lettera a Foco:
e m’appariva impossibile che Ella
fosse grande, tanto più grande del suo Figlio che contiene in Sé. È veramente
Regina del Cielo e della terra! (…) Fuori il cielo era d'un azzurro mai visto
... Allora compresi: il cielo contiene il sole! Maria contiene Iddio! Iddio L’amò
tanto da farla Madre sua ed il suo
Amore Lo rimpicciolì di fronte a Lei! (cpv 65, 67)
Il disegno del carisma dell’unità
mi sembra analogo a quello di Maria, non sta al “centro”, ma attorno, quasi un
cielo, un abbraccio che tutto contiene.
Come non ricordare quanto scrive
Chiara, sempre nel Paradiso ’49, sulla missione che vede affidare da Dio
alla sua Opera:
Noi
dobbiamo soltanto far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono
comprendere, capire, amare come Si amano le Persone della Trinità. Fra essi c’è
come rapporto lo Spirito Santo che li lega, perché ognuno è espressione di Dio,
di Spirito. (cpv 1089-1090)
Nessuna interferenza, nessuna
volontà di porsi al centro, ma un umile servizio – tipicamente “mariano” – perché
ogni carisma sia autenticamente sé stesso, ponendolo in comunione con gli
altri.
Ecco Maria che attraverso la sua Opera
concorre anch’essa oggi, con la sua spiritualità, a far sì che queste aiuole
[gli Istituti espressione di un carisma] siano sempre più fiorenti agli occhi
di Dio e del mondo. (30 aprile 1982[1])
Al “centro” Gesù in mezzo
Al “centro” allora, tra di noi, ci
sarà Gesù in mezzo. E sarà il vero centro di ogni Famiglia carismatica e del
più grande movimento di “Carismi per l’unità” e delle Famiglie carismatiche
ogni volta che si incontrano tra di loro. Perché questo è il “centro” della
Chiesa, Gesù che vive tra quanti sono uniti nel suo nome (Mt 18, 20),
egli che ha promesso, come garanzia di autenticità del suo popolo, di essere
sempre presente, fino alla fine del mondo (Mt 28, 20).
Per Chiara tutti i punti della sua
spiritualità convergono verso il dodicesimo, la presenza di Gesù tra noi. La loro
sequenza è variato negli anni fino a quando, il 20 ottobre 2000, ella intuisce
l’ordine definitivo da dare ad essi, ponendo a conclusione “Gesù in mezzo”:
«Stanotte – scrive nel Diario –, ad un risveglio, ho avuto la netta impressione
d’aver ricevuto una rivelazione (tale e quale)
quando con l’inanellarsi dei punti della spiritualità sono arrivata a
capire come aver Gesù tra noi e l’ho visto come un nostro brevetto per aver il
quale sono occorse una serie di rivelazioni, una dopo l’altra (= i vari punti
della spiritualità)». «Tutta la nostra spiritualità – scriverà ancora Chiara
ormai verso la fine della vita –, tutti i suoi punti: Dio Amore, la volontà di
Dio, Gesù abbandonato…, è per arrivare a generare Gesù in mezzo a noi»[2].
Gesù in mezzo: non una formula,
una virtù, il divino, ma una persona! «Gesù in mezzo… è Gesù! […] Noi con i
nostri occhi non lo vediamo, ma lui ci sente e scruta ogni nostro pensiero,
ogni palpito del nostro cuore, ogni adesione della nostra anima. Lui c’è!»[3].
Può essere anche in mezzo a persone
che esprimono carismi diversi. Come non ricordare in proposito quando Chiara
scrisse ricordando la Mariapoli del 1959, che vide una presenza straordinaria
di religiosi e religiosi
tutti affratellati da un unico spirito:
vivere il Corpo mistico. Maria santissima, certamente presente spiritualmente
nella sua città, sembrava coprire col suo manto tutta questa varietà di divise
che dicevano, anche all’esterno il particolare ideale che ciascuno perseguiva.
Attraverso quest’Opera sembrava voler servire il suo Figlio Gesù in molte
aiuole della Chiesa, perché tutti si potessero sentire, oltre che del loro
particolare ordine, della Chiesa una.
Quando Gesù aveva detto “Dove sono due
o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, non aveva escluso certo
di sottintendere anche: “Dove un francescano e un benedettino, o un carmelitano
e un passionista, o un gesuita e un domenicano… sono uniti nel mio nome, lì
sono io...”.
E se era veramente Gesù fra loro, il
risultato sarebbe stato che l’incontro con Lui avrebbe fatto il francescano
miglior francescano, e il domenicano miglior domenicano.
E così la Chiesa poteva risplendere,
anche per l’Opera di Maria, più bella e degna Sposa di Cristo, nella sua
varietà e nella sua altissima unità»[4].
Non è proprio questo lo scopo per
il quale sono stati seminati i carismi lungo la storia? Non è questo il senso
ultimo delle nostre Famiglie carismatiche e del Movimento Carismi per l’unità? Rendere
la Chiesa sempre più bella e atta a compiere la sua missione.
Jesus no meio "sacramento dos leigos" (Chiara)
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