Poco prima di morire si era ritirato in
preghiera in questo bosco che il signore del luogo, il conte Tiso, aveva
affidato ai francescani, nei pressi del suo castello.
Nel
bosco, Antonio aveva nota un maestoso noce e gli venne l’idea di farsi
costruire tra i rami dell’albero una specie di celletta. Tiso gliela
allestì. Il Santo passò così in quel rifugio le sue giornate di
contemplazione, rientrando nell’eremo solo la notte. È qui che si erge uno dei due
santuari.
L’altro
è sorto attorno alla stanzetta dell’eremo. Il conte, dall’uscio socchiuso, vide
sprigionarsi un intenso splendore. Temendo un incendio, spinse la porta e rimase immobile davanti alla scena prodigiosa: Antonio stringeva fra le braccia
Gesù Bambino.
Nel viale che congiunge o due santuari grandi
gruppi di statue rievocano momenti della vita del Santo. C’è anche l’accoglienza
tra le braccia di Gesù Bambino. Ma qui la scena pone in azione Maria: è lei che
porge il Bambino a sant’Antonio.
Mi viene da pensare alla presentazione di
Gesù al tempio, quando Simeone prende tra le sue braccia Gesù Bambino. C’è
momento più bello di quanto una mamma ti mette tra le braccia il suo neonato? È
un gesto di fiducia e insieme il modo più intenso per sentire tuo il bambino,
per entrare in intimità con lui che avverti vivo: lo vedi muoversi, respirare…
Scopri la bellezza della vita. Per questo Simeone può morire in pace, perché
sperimenta la pienezza della vita, che lo supera e lo avvolge. È lui che abbraccia
il bambino o è il bambino che abbraccia lui?
Poter stringere Gesù tra le proprie braccia! È
sempre stato così forte questo desiderio che tante donne mistiche l’hanno
sperimentato. Un’esperienza quasi sempre al femminile. Ma nulla vieta che Maria
metta il braccio anche a un uomo il suo bambino, come l’ha messo in braccio a Giuseppe, a Simeone, ad Antonio… E perché non possiamo desiderarlo e forse sperimentarlo
anche noi? Potrebbe essere anche una preghiera da rivolgere a Maria… Lasciando che sia lui ad abbracciarci.
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