Sembra incredibile, ma ci sono ancora giovani che si decidono a seguire Gesù nella vita consacrata. Me li ritrovo davanti, una sessantina, da tutta Italia, con qualche presenza di altri Paesi europei. Ma c’è anche una vietnamita e due egiziane… Belli, sorridenti... lo si vede anche dietro le mascherine. Altri sono collegati via internet.
Inizio il mio corso sulla storia della
vita consacrata. Con la solita premessa: contenti della vostra vocazione,
ma senza montarvi la testa, non siete migliori degli altri. E parlo della
bellezza delle differenti vocazioni della Chiesa, una più bella dell’altra.
Prima delle distinzioni punto sull’unità
di tutto il popolo di Dio e ricordo le parole di Giovanni Crisostomo: «Gesù
Cristo non usa né il nome di laico, né quello di monaco. Questa distinzione è
stata introdotta dagli uomini. Le Scritture non la conoscono… È dunque un errore
mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre
gli altri possano fare a meno di preoccuparsene… Quelli che vivono nel mondo e
i monaci devono arrivare a un’identica perfezione» (Contro gli oppositori
della vita monastica, 3,14).
È quello che dirà il Concilio Vaticano
II 1500 anni più tardi! «Non c’è che un popolo di Dio scelto da lui: “un solo Signore,
una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri per la
loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione
alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza
divisioni» (Lumen gentium, 32).
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