Pochi giorni fa, il 30 settembre,
papa Francesco ci ha consegnato una Lettera apostolica per celebrare il 16° centenario
della morte di san Girolamo.
Non credo l’abbia scritta lui,
stile e linguaggio sono molto distanti dal suo modo di scrivere. È una lettera
asciutta, e in questo senso rispecchia lo stesso Girolamo, rigoroso e sempre attento alla
lettera.
Dallo scritto del Papa Girolamo
appare un autentico gigante, che con la sua traduzione della Bibbia ha segnato
la storia, la cultura, la lingua della Chiesa di tutti i tempi.
Bello l’esordio della Lettera,
nel quale è racchiuso sinteticamente tutto il contenuto:
«Un affetto per la Sacra
Scrittura, un amore vivo e soave per la Parola di Dio scritta è l’eredità che
San Girolamo ha lasciato alla Chiesa attraverso la sua vita e le sue opere. (…)
Questo amore si dirama, come un fiume in tanti rivoli, nella sua opera di
infaticabile studioso, traduttore, esegeta, profondo conoscitore e appassionato
divulgatore della Sacra Scrittura; di raffinato interprete dei testi biblici;
di ardente e talvolta impetuoso difensore della verità cristiana; di ascetico e
intransigente eremita oltre che di esperta guida spirituale, nella sua
generosità e tenerezza. Oggi, milleseicento anni dopo, la sua figura rimane di
grande attualità per noi cristiani del XXI secolo».
Altrettanto bella la conclusione nella quale Girolamo viene detto “Biblioteca di Cristo”, riferendo a lui le parole con cui Girolamo aveva definito Nepoziano: “Con la lettura assidua e la meditazione costante aveva fatto del suo cuore una biblioteca di Cristo”.
Scrive dunque il Papa: Girolamo è «una biblioteca perenne che sedici
secoli più tardi continua a insegnarci che cosa significhi l’amore di Cristo,
amore che è indissociabile dall’incontro con la sua Parola. Per questo
l’attuale centenario rappresenta una chiamata ad amare ciò che Girolamo amò,
riscoprendo i suoi scritti e lasciandoci toccare dall’impatto di una
spiritualità che può essere descritta, nel suo nucleo più vitale, come il
desiderio inquieto e appassionato di una conoscenza più grande del Dio della
Rivelazione».
Ma mi piace anche l’immagine
contraria, quella che si riferisce a san Francesco d’Assisi, di cui Tommaso da
Celano scriveva che egli “abitava” le Scritture: «Una volta, trovandosi a Roma in casa
di un cardinale, fu interrogato su alcuni passi oscuri [della Bibbia] ed egli
espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far pensare che abitasse
in permanenza le Scritture» (FF 691).
Sette secoli più tardi Paul Claudel
scriveva a sua volta: «… non chiedetemi come leggo la Bibbia; io non leggo, ma
abito il testo sacro, là è la mia stabile dimora».
La Parola in noi, noi nella
Parola, in una reciprocità che arriva alla mutua immedesimazione,
continuazione del Verbo che si fa carne.
Nessun commento:
Posta un commento