In quel tempo,
Gesù prese con sé Pietro, Giacomo
e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto
monte. E fu trasfigurato davanti a loro. (Mt 17,1-9)
Pietro,
Giacomo, Giovanni. Gesù li porterà con sé nell’orto degli ulivi. Saranno i testimoni
del suo pianto, della debolezza, dell’implorazione che rivolgerà al Padre
perché allontani da lui il calice amaro dei patimenti e della morte. Si
mostrerai loro tremante, impaurito, angosciato, triste da morire.
Sono
gli stessi tre che oggi porta con sé sul monte alto, in mezzo alla piana distesa
e ridente di Galilea. Prima di far conoscere le tenebre del Getsemani mostra
loro lo splendore del Tabor. Prima di mostrare la sua fragile umanità vuoi far loro
vedere la sua radiosa divinità.
Aveva
appena detto ai tuoi discepoli che sarebbe andato a morire e che per essere suoi
discepoli veri occorre condividere la sua croce. Erano un annuncio e una
pretesa troppo crudeli. Non per niente Pietro si era ribellato e per amore di
Gesù s’era frapposto tra il Maestro e Gerusalemme, il luogo del suo destino.
Così facendo, senza saperlo, s’era opposto al volere del Padre, quasi a
dividere Gesù dal Padre. E lo chiamò “satana”, il padre di ogni divisione.
Come
poteva comprendere, Pietro? Forse noi capiamo, quando viviamo il dolore e la
prova? Perché seguire Gesù in questa assurda via della croce? Perché?
La
sua risposta è una sola: Vieni a vedere cosa c’è al di là del dolore, vieni a
vedere la gloria della risurrezione. Prima lo chiama “satana” e subito dopo lo
porta, con gli altri due, sul monte alto, dove tutto è luce, bellezza, gaudio
infinito. I tre vorrebbero eternare l’attimo: “Facciamo tre capanne!”.
Soltanto
dopo averci incantato e averci fatto gustare un anticipo di cielo, soltanto
dopo averci mostrato la luce e fatto intravedere la bellezza del suo volto, Gesù
puoi chiederci di seguirlo, di prendere la croce assieme a lei, di vivere il
martirio, quello di spada e quello a colpi di spillo, centellinato giorno per
giorno, fatto di ansietà, incertezze, piccoli e grandi dolori, preoccupazioni,
solitudine… Quando si è innamorati si possono fare tutte le pazzie e si possono
sopportare tutti i patimenti. Senza aver visto il suo volto splendente di luce
non lo si può riconoscere nel volto coperto di sputi e di sangue. Senza il
Tabor non è possibile affrontare il Golgota.
Per
questo nel cammino della Quaresima occorre sempre vedere la meta: la
risurrezione.
Sia
come sia, il cammino della nostra vita ha un approdo di luce.
Sull’altra
sponda ci attende Dio e lo splendore del Paradiso.
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