La prima volta che
andai in Corsica – avevo 16 anni – mi impressionò vedere come souvenir coltelli
con scritto sulla lama “Vendetta corsa”. La vendetta era proprio un dato culturale.
Quei coltelli mi sono
tornati in mente questi giorni leggendo un vecchio libro del 1941, XIX dell’era
fascista, scritto da un fecondo autore Oblato, p. Giovanni Lingueglia: Un pioniero del Vangelo nell'isola di Ceylon.
È la storia di un
grande Oblato, padre Stefano Semeria, fondatore della missione del Ceylon a metà del
1800, presto diventato vescovo.
Essendo italiano,
ligure, una volta entrato dagli Oblati, de Mazenod lo mandò tra i lavori italiani
immigrati a Marsiglia e poi in Corsica. Qui si diete alla predicazione delle
missioni al popolo.
Leggo di una famosa
missione, predicata a Sari d’Orcino, dove erano stati commessi omicidi, e il
sangue versato aveva scavato un abisso insormontabile tra due partiti.
«Gli
uomini di ambo le parti erano armati fino ai denti; le donne e i fanciulli si
chiudevano nelle loro case, barricando porte e finestre. Per le strade ad ogni
pie’ sospinto s’incontravano bande armate, anelanti vendetta. Una minima
scintilla sarebbe bastata ad appiccare il fuoco alle polveri, provocando
un’esplosione generale».
Così
padre Semeria, “dal fare amichevole, dal tatto delicato”, inizi la opera di
pacificazione.
«Durante
quasi un intero mese, scriveva P. Semeria, non abbiamo goduto un solo istante
di riposo. Tutti, ricchi e poveri, amici e nemici alla fine non hanno avuto più
che un pensiero: riconciliarsi con Dio e por termine una buona volta ai loro
funesti dissensi».
Andò
fino nella fitta boscaglia, per trovare uno dei più temibili banditi. I membri
del clan avversario non ardivano recarsi alla chiesa, per paura di questo bandito.
«Non
appena il bandito scorse P. Semeria, che gli andava incontro, col Crocefisso
alzato in mano, si fermò stupefatto, conquiso da quell’aria di santità che
irradiava dal viso del coraggioso Missionario. Egli butta a terra fucile,
pistole e pugnale; distende sul suolo, a guisa di tappeto, il suo pellone - specie di drappo intessuto con
peli di capra - e invita il Padre a sedersi. La conversazione fu lunga, ma
fruttuosa… Il bandito finisce col promettere che, qualora non si tiri su di
lui, neppure egli tirerebbe sugli altri, sarebbe financo andato ad assistere
agli esercizi della missione e, se i suoi nemici gli avessero perdonato, egli
pure avrebbe perdonato».
La
pace fra tutti fu sancita da un trattato di pace vero e proprio. Il giorno
della Comunione generale degli uomini, in presenza del Vescovo diocesano venuto
per presiedere alla solenne cerimonia, padre Semeria dal pulpito lesse il
trattato di pace e ne commentò uno per uno gli articoli. I due capi si
avvicinano all’altare per apporre la loro firma al trattato, e giurano sui
Santi Vangeli di volerlo osservare sino alla morte. Prima di essere ammessi
alla Comunione, si abbracciarono pubblicamente.
La
folla elettrizzata, a questo spettacolo, fu presa dall’entusiasmo e cominciò ad
abbracciarsi a sua volta. Per più di una mezz’ora si continuò a gridare:
«Evviva la pace, evviva la pace!..». Le campane suonavano a festa…
Vale la pena leggere queste
belle storie di una volta. Potrebbero essere di ispirazione anche per l’oggi.
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