I vescovi in Libano 10 anni fa |
I vescovi incontrati oggi |
Ho
parlato ad una cinquantina di vescovi provenienti da varie parti del mondo. Ho
loro raccontato un’esperienza di una decina d’anni fa, quando partecipai per
una settimana intera ad un convegno ecumenico di vescovi, in Libano e in Siria:
37 vescovi di 16 differenti Chiese, provenienti da 16 nazioni.
Fu una
settimana indimenticabile. A mano a mano che l’incontro progrediva si sentiva
crescere la comunione tra tutti, pur nelle diversità linguistiche e culturali,
di riti e di Chiese.
Il
momento culmine fu l’ultimo giorno, a Damasco. Eravamo appena visitato il
Patriarcato siro ortodosso di Antiochia. Sua Beatitudine Mor Ignatius Zakka I Iwas, aveva rivolto a tutti parole
di sapienza: “Il mio cuore è pieno di gioia per la vostra visita. Vedo
che lo Spirito Santo sta lavorando tra noi tutti (…). La Chiesa è una. Vi sono
tante culture, tanti riti, tante espressioni, tante tradizioni ma la Chiesa è
una e chi ci unisce tra di noi è Cristo stesso, che è Dio, che è l’amore.
L’unità non può esserci senza l’amore, c’è solo con l’amore. (…) Non possiamo
amarci a vicenda se non ci riconosciamo gli uni gli altri (…). Nell’unità fra
di noi diamo gloria a Cristo che vuole che noi siamo uno in lui”.
Adesso i vescovi erano sulla famosa via verso Damasco, nel luogo della chiamata e della
conversione di san Paolo. Lessero l’inno alla carità di Paolo in aramaico,
greco, inglese, francese e recitarono il credo degli Apostoli in greco. Poi
accadde qualcosa che vedevo per la prima volta: fecero tra loro un patto,
promettendo di amarsi al punto da essere pronti a dare la vita l’uno per
l’altro, proprio come aveva chiesto Gesù ai primi Vescovi, gli apostoli,
riuniti nel Cenacolo.
Poi i
Vescovi cominciarono ad abbracciarsi gli uni gli altri. I fedeli presenti
esplosero in un canto di gioia e scesero in mezzo a loro per esprimere la
gratitudine per un gesto così evangelico e così audace. Fu una festa.
Chissà
come sarebbe stato contento Sant’Eugenio de Mazenod, il mio fondatore, se quel
giorno fosse stato con me a Damasco. Egli fu vescovo di Marsiglia per una
trentina d’anni, a metà dell’Ottocento. Il porto della città era un passaggio
obbligato per tanti vescovi che andavano a Roma. Sant’Eugenio li ospitava nella
sua casa e con alcuni instaurò legami profondi, che spesso hanno portato anche frutti
concreti per l’opera missionaria. A volte la comunione si faceva così intensa
che i due Vescovi stipulavano un vero patto scritto, controfirmato da entrambi,
con il quale si impegnavano a vivere l’uno per l’altro.
I vescovi
non hanno l’esclusiva nel creare un legame d’amore tra di loro. Lungo la storia
della Chiesa vi sono esempi illustri al riguardo.
Basterebbe
ricordare i legami che univano Gregorio Nazianzeno e Basilio di Cesarea (che pure
erano vescovi), Guglielmo di Saint-Thierry e Bernardo di Chiaravalle, Chiara
d’Assisi e Agnese di Praga, Francesco di Sales e Giovanna di Chantal,
Margherita Maria Alacoque e Claude La Colombière, Hans Urs von Balthasar e
Adrienne von Speyr.
Come non
pensare al voto dei primi compagni di Ignazio, a Montmartre a Parigi. Pietro
Favre, ricordando quel momento annota: «Divenimmo una cosa sola nei desideri,
nella volontà e nel fermo proposito di scegliere la vita che ora viviamo tutti
noi».
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