sabato 27 agosto 2016

In Terra Santa / 12 – Ritorno in Galilea

Lasciamo la casa dei cappuccini, che ci hanno riservato una ospitalità molto cordiale, mentre il sole sorge dietro la chiesa della dormizione della Vergine, come se Maria volesse continuare ad accompagnarci nella sua terra.
Siamo diretti in Galilea, dove tutto è cominciato: la chiamata dei Dodici, le parabole, la convivenza con Gesù sul lago… Nella loro chiamata la nostra chiamata.
Vi andiamo dopo essere stati a Gerusalemme, dopo aver vissuto l’evento della passione, morte e risurrezione di Gesù. Vi torniamo su suo invito, comunicatoci dalle donne: “Il Maestro vi aspetta in Galilea”.
Vi torniamo dopo anni dalla nostra prima chiamata. Da allora anche noi l’abbiamo tradito, rinnegato, senza più presunzioni. Vi torniamo perché egli ci offre una nuova opportunità: possiamo ricominciare. Sarà una sequela nuova. Con la risurrezione Gesù non è più come prima, non lo si può più seguire lungo le strade della Galilea e della Giudea. Ha superato le barriere del tempo e dello spazio... Viva ormai in una dimensione diversa, quella dello Spirito, ed è ad ognuno più intimo che mai: è in mezzo a noi e noi siamo lui.

Da Gerusalemme scendiamo lungo la via che attraversa il deserto di Giuda e ci conduce fino a Gerico. Risaliamo costeggiando il Giordano, con alla nostra sinistra i monti di Gelboe sui quali, dalla morte violenta morte di Saul e di Gionata più non piove, come ha gridato David nella sua elegia: “O monti di Gelboe, non più rugiada né pioggia su di voi / né campi di primizie”.
Il deserto e gli aridi monti hanno un fascino particolari; asciutti, nudi e silenziosi, arsi dal sole richiamano il desiderio di Dio di apa Pafnunzio.

In Galilea cambio di scena. Il deserto lascia il posto a dolci colline, a verdi orizzonti. Eccoci al lago. Sulle sue sponde la vicenda di Gesù e dei suoi discepoli. La nostra visita è veloce, tocca appena Tiberiade, Magdala, il monte delle beatitudini (dove teniamo la nostra ora di lezione...), Tabca della moltiplicazione dei pani, Cafarnao la città di Gesù. Ma è soprattutto la roccia del primato di Pietro, dove Gesù apparve dopo la sua resurrezione, che ci conquista. Come bambini scendiamo all’acqua del lago, facciamo festa, ci sembra di rivedere gli apostoli che tornano stanchi senza aver trovato pesce.
Pietro ci racconta, ancora una volta quel momento da sogno:

Remavo con le braccia stanche. Le nasse vuote. Un’altra notte senza fortuna...
Ero qui per l’appuntamento che ci aveva dato tramite le donne: “Il Maestro vi aspetta in Galilea”. Saremmo partiti da dove eravamo partiti all’inizio e Lui ci avrebbe guidato ancora come quando ci guidava per le vie di Galilea.
Questa volta l’avrei seguito. Non sarebbe accaduto come quando mi ero posto davanti a Lui per impedirgli di raggiungere Gerusalemme. “Perché andare in Giudea a morire? No, questo mai”, gli gridai. Gli volevo troppo bene per non sentirmi responsabile di Lui. “No, Maestro, gli dissi risoluto, tu non percorrerai questa strada di morte”.
Ora sapevo che sarebbe apparso, nella luce splendente del Tabor, nella gloria che lo avvolgeva Risorto, e ci avrebbe indicato la via e si sarebbe posto nuovamente alla nostra testa e lo avremmo seguito ovunque.
Chi era quell’uomo, là sulla roccia, sul bordo del lago, che dava consiglio a noi pescatori? Contro il sole nascente non ne distinguevo il volto. Doveva essere uno dei vecchi pescatori di Cafarnao, usi al mestiere. Calammo le reti, come ci aveva gridato. E il pesce, latitante tutta la notte, accorse a frotte. Lo sentivo da come tirava la rete.
“È il Signore”, sussurrò il più giovane. Il Signore? Piegato sull’orlo della barca, per un attimo rimasi paralizzato a guardare l’acqua che guizzava d’argento. Il Signore?
Ma avevo già mollato la presa, m’ero già tolto la veste, m’ero già buttato in acqua verso di Lui, il Signore.
Era proprio Lui. Stava controluce, ma era proprio Lui. Lo riconoscevo e non lo riconoscevo nei suoi lineamenti, ma era proprio Lui. Ansimante, caddi in ginocchio
e lo guardai. Era proprio Lui.
– Pietro, mi ami?
– Ti amo, gli dissi con la passione di sempre.
– Mi ami più di tutti?
– Sì, Maestro, gli gridai con convinzione, mentre mi sentivo il cuore in gola, e non era più per la corsa nell’acqua.
– Pietro, mi ami veramente?
La terza volta! Mi sentii schiantare il cuore. Il mio tradimento, il mio triplice tradimento…
Ora soltanto, dal baratro del mio tradimento, potevo dire la verità:
– Tu lo sai – sussurrai con un filo di voce, ma fu la mia vita a dirglielo –, tu sai tutto, tu lo sai che ti amo.







Finalmente a Nazaret. Ci attende un centinaio di persone che vogliono incontrare la Scuola Abbà per conoscere qualcosa della mistica e della spiritualità di Chiara Lubich. Ci presentiamo insieme a parlare.
Solo un tocco dell’inizio di Hubertus:
“Per secoli, quando si parlava di mistica, nel senso di un’esperienza profonda e forte di Dio che si fa “sentire” e in un certo senso si “rivela” all’anima, si pensava ai santi mistici, persone speciali, in genere religiose o religiosi, consacrate a Dio che vivono ritirate dal mondo. Un fenomeno raro, accompagnato da manifestazioni speciali, come visioni, rapimenti, ecc.
Ai nostri tempi, invece, vengono in rilievo sempre più una santità e una mistica del popolo, una mistica per tutti… Ad invitarci a questo, con decisione, ai nostri giorni è in particolare Papa Francesco: «Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze» (Evangelii gaudium  71). Una mistica, quindi, non degli occhi chiusi ma degli occhi aperti, che sa scoprire la presenza di Dio nella città.
Chiara Lubich era un precursore di questa mistica di vivere insieme, in un tempo in cui erano ancora pochi a porre al centro del cristianesimo l’amore, la comunione e l’unità… La mistica esce dai conventi e diventa una realtà alla portata di tutti: anche di chi lavora duramente, di chi tiene la casa; di chi deve guidare una città o il destino di una nazione. Chiara, infatti, sognava che la Chiesa tutta potesse sempre più diventare “un popolo di mistici”, persone che fanno esperienza di Dio e che per questo portano una nuova luce e una nuova vita, capace di affrontare i problemi dell’umanità; un popolo composto di persone di ogni tipo, dai bambini ai vescovi, dalle persone consacrate a Dio ai politici e agli imprenditori…”.
Poi è la volta di Judy e di Therese… e quando chiedono come vivere nei conventi ecco fra Alessandro, e quando domandano di politica c’è Alberto e quando chiedono della famiglia c’è Teresa e Gennaro… abbiamo proprio uomini e donne per ogni stagione! Che bella squadra questa Scuola Abbà.

E Maria di Nazaret? A domani…


1 commento:

  1. Si sente, si capisce, lo Spirito che anima questa umile e sapiente squadra della scuola Abbà. Chiara ci pregava di stare sotto, sotto, sotto a tutti per far nascere nei nostri cuori l'Amore di G.in M. Questa è stata la chiave che entrando dalla porta stretta ci ha resi fratelli. Vogliamo continuare con Gesù Eucaristia e con il Vostro magistrale aiuto, perseverando in ogni momento della giornata alla guida di Maria Madre di Dio e madre nostra.

    RispondiElimina