domenica 28 agosto 2016

In Terra Santa / 13 – Nazaret e il monte Tabor



La grotta dell’Annunciazione ci ha letteralmente galvanizzati. Ieri sera e questa mattina più volte siamo stati lì a pregare, insieme, da soli, a due a due, a gruppetti. Ma è avvenuto proprio qui l’annuncio dell’angelo? Un’altra tradizione colloca l’evento alla fontana del villaggio. Così dopo cena ci distinguiamo: un gruppo alla chiesa dell’Annunciazione per la grande processione dei cattolici attorno alla basilica, un altro gruppo alla fontana della Madonna per la festa dell’Assunzione che i greci ortodossi a Nazaret celebrano proprio adesso. Davvero Maria ci ha accompagnato dall’inizio alla fine di questo viaggio: con lei sui passi di Gesù.
  
Nella chiesa della fontana (la fontana è in fondo ad una scala di pietra) un baldacchino di fiori bianchi custodisce Maria che dorme il sonno della morte, nell’attesa dell’Assunzione del suo corpo. Giungiamo al termine della celebrazione presieduta dal patriarca. Ci avviciniamo anche noi per baciare l’icona delle Dormiente.
Intanto fuori, sulla piazza, si sono radunati i cristiani ortodossi per cantare le lodi di Maria e danzare in suo onore. Al suono di tamburi e cornamuse e sulle note di una nenia gridata a squarciagola, un uomo improvvisa le parole più dolci rivolte alla Madonna, ripetute da tutti in una cantilena festosa. Tra l’altro le dice (così ci traduce dall’arabo la nostra Mirvet): “Dall’Oriente e dall’Occidente, dal Nord e dal Sud, tutti vengono a lodarti”… parla di noi!
Ad un dato momento gli uomini prendono sulle braccia il patriarca e lo portano in trionfo in giro per la piazza a passi di danza, per esprimere l’incontenibile gioia.

Siamo proprio a Nazaret, dove il cielo ha toccato la terra e dove Gesù ha vissuto gli anni della sua giovinezza assieme alla Madre. Non è questa l’attrattiva del tempo moderno, anzi, di tutti i tempi?
«Gesù e Maria:
il Verbo di Dio, figlio d’un falegname;
la Sede della Sapienza, madre di casa».
  
Questa mattina, prima di partire, mi reco nell’antico monastero delle Clarisse, dove per tre anni Charles de Foucauld ha vissuto nel nascondimento come Gesù e dove è nata la sua spiritualità incentrata sul nascondimento di Nazaret. Oggi, nel piccolo monastero, non ci sono più le Clarisse, ma i figli di Fratel Charles, i Piccoli Fratelli, che ne custodiscono la memoria.
«Abito in una casetta solitaria – scriveva a suo cognato il 25 novembre 1897 – situata in un recinto appartenente alle Suore di cui sono il fortunato servo; sto là, tutto solo, ai margini della cittadina; da un fianco è la clausura delle Suore, dall’altro la campagna, campi e pendii: è un eremo delizioso, perfettamente solitario. Mi alzo quando il buon angelo mi risveglia e prego e medito fino all’Angeus… All’Angelus vado al convento francescano, là scendo nella grotta che faceva parte della casa della Santa Famiglia (questa casa era addossata alla roccia e formata in parte da una piccola costruzione esterna; la costruzione esterna è a Loreto: la parte scavata nel macigno è qui)… resto lì fino verso le sei del mattino dicendo il mio rosario e ascoltando le Messe che vengono dette in questo luogo sì adorabilmente Santo in cui Dio s’incarnò, in cui risuonò per trent’anni la voce di Gesù, di Maria e di Giuseppe; è profondamente dolce guardare queste pareti di pietra sulle quali si sono posati gli occhi di Gesù e ch’Egli toccava con le sue mani».
Presto, il 1 dicembre, celebreremo il primo centenario del suo martirio.


Da Nazaret al monte Tabor, che si staglia sulla fertile assolata pianura. Da lassù si stende uno sguardo pieno di luce, riflesso di quella che brillò sul volto di Gesù in quella notte di grazia.
Era notte o era giorno quando, in preghiera sul monte, Gesù si trasfigurò? I vangeli non lo dicono. Se era giorno, il suo splendore offuscò la luce del sole. Se era notte, la sua luce dissipò le tenebre.
Doveva essere notte, perché di notte era solito ritirarsi a pregare, quando i discepoli, come più tardi nell’orto degli olivi, venivano sopraffatti dal sonno.
Le tenebre ricoprivano la terra. Le stesse tenebre che in pieno giorno, quando fu innalzato sulla croce, avvolsero tutta la terra. Ed è proprio di quel giorno che diverrà notte, che Gesù discorreva con Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti. L’intera Scrittura parlava di lui e annunciava l’esodo doloroso che lo avrebbe condotto alla morte per condurre noi dalla morte alla vita. Proprio mentre ne parlava con Mosè ed Elia, e percepiva il buio, si accese di luce e fece splendere la notte: la sua notte non ha più oscurità, annuncio di risurrezione, di esodo compiuto.
Vorremmo che quella stessa luce taborica avvolgesse costantemente la Scuola Abbà. Questo si rivela proprio come il luogo della Scuola Abbà, chiamata alla luce. Sarà forse per questo che, dopo la visita, tutti, senza nessun accordo previo, ci ritroviamo nella parte bassa della Chiesa, in silenzio, in una grande pace, in una gioia forse simile a quella che aveva avvolto Pietro, Giacomo e Giovanni… Non ci saremmo più mossi da lì.
E invece eccoci di ritorno. Il nostro pellegrinaggio è terminato, dopo una settimana nella quale il tempo si è annullato.
Riparto senza rimpianto né ostalgia, tanto grande è la pienezza sperimentata. Compimento!


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