venerdì 26 agosto 2016

In Terra Santa / 11 - Un Dio incarnato



In nessun luogo come qui in Terra Santa si comprende il realismo dell’Incarnazione. La salvezza ha una storia e una geografia, che giungono a concentrarsi in una persona vera, capace di piangere e di gioire, di stancarsi e di sedersi a tavola: Gesù, che va su queste strade, che guarda questo cielo, che cammina sulle acque, che offre le sue membra alla flagellazione e agli sputi, che muore e che risorge…
  
La visita al Museo d’Israele questa mattina ci ha immersi in questa storia e in questa geografia che Dio ha preparato, come una culla nella quale adagiare il Figlio suo e irradiare nel mondo la salvezza.
Il grande plastico della città di Gerusalemme al tempo di Gesù ci galvanizza per un’ora intera, tanto riesce a rievocare nei minimi particolari i luoghi dell’antichità che ormai ci sono familiari.
La sezione dedicata ai rotoli del Mar Morto è il fiore all’occhiello del museo. Si può scorrere l’intero libro di Isaia, assieme ad altri manoscritti  di Qumran. Un altro codice di straordinaria importanza è il testo masoretico di Aleppo. Noto con stupore che tra i rotoli di Qumran e il codice di Aleppo c’è un vuoto di 1000 anni: per un periodo di 1000 anni non è rimasto nessun manoscritto ebraico dell’Antico Testamento! Com’è possibile che non si sia conservato niente? Il primo millennio, a cominciare dal secondo secolo, è invece ricchissimo di papiri e codici del Nuovo Testamento. Non posso non fare il confronto con la Chester Beatty Library di Dublino o con la Vaticana, di una ricchezza senza confronto. Mi piacerebbe approfondire il mistero di 1000 anni di silenzio delle fonti.


Nel pomeriggio vediamo arrivare i membri dei cinque focolari della Terra Santa per vivere assieme a noi una sessione di Scuola Abbà. Ripercorriamo le tappe di questi giorni per riviverle assieme a loro, alla luce del ’49. È un momento di paradiso.

Domani lasceremo Gerusalemme e saliremo in Galilea. Non possiamo partire dalla città santa senza tornare un attimo sul Santo Sepolcro e senza uno sguardo a quell’antica scala romana che la tradizione vede percorrere da Gesù mentre dal cenacolo scende al Cedron, per poi risalire all’orto degli ulivi. Sempre secondo la tradizione scendendo quei gradini, “volgendo gli occhi al cielo” carico di stelle, avrebbe pregato il Padre per l’unità.
È un luogo particolarmente caro alla Scuola Abbà, perché Chiara vi ha visto come materializzarsi il suo sogno d’unità. Ci rileggiamo quanto scrisse dopo essersi seduta su quei gradini:
«Se hai l’avventura di portarti in Terra Santa, verso primavera, fra le mille cose che Gerusalemme ti offre alla contemplazione e alla meditazione, una ti colpisce nel modo singolare, per quanto ricorda nella sua estrema semplicità.
Resistita al tempo e lavata dalle intemperie di duemila anni, una lunga scala di pietra, puntualizzata qua e là di papaveri, rosseggianti come il sangue della Passione, si spiega, quasi un nastro increspato, discendente, limpida e solenne verso la valle del Cedron.
È rimasta nuda all’aperto, costeggiata da una cornice di prato, quasi che nessuna volta di tempo potesse sostituire il cielo che l’incorona.
Di là – la tradizione racconta – Gesù discese quell’ultima sera, dopo la cena, quando, “alzati gli occhi al cielo” gonfio di stelle, ebbe a pregare: “Padre, l’ora è venuta...”.
Fa impressione metter i propri piedi dove i piedi di un Dio hanno toccato e tutta l’anima t’esce dagli occhi guardando la volta celeste che occhi di un Dio hanno guardato. E tale può essere lì l’impressione che la meditazione ti fissa in adorazione.
Fu una preghiera unica la Sua prima di morire. E quanto più splende Dio questo “Figlio dell’uomo”, che tu adori, tanto più’ lo senti uomo e t’innamora.
Il Suo è un discorso che solo il Padre comprese appieno, eppure lo fece a voce dispiegata, forse perché anche a noi arrivasse l’eco di tanta melodia”».
Poco tempo più tardi scriverà ancora: «Ricordo che lì, presso quella scaletta, nel nostro cuore è nato un ardente desiderio; c’era un praticello verde: edificarvi un focolare, mettervi delle anime che perennemente per quanto vivono consacrino la loro vita a tenere Gesù vivo in mezzo a loro, perché lui fosse ancora lì, spiritualmente presente come allora era fisicamente presente».
Guardando i focolarini e le focolarine oggi presenti a Gerusalemme e in Terra Santa, mi pare di poter dire che quel desiderio di è già realizzato.


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