In nessun luogo come
qui in Terra Santa si comprende il realismo dell’Incarnazione. La salvezza ha
una storia e una geografia, che giungono a concentrarsi in una persona vera,
capace di piangere e di gioire, di stancarsi e di sedersi a tavola: Gesù, che va
su queste strade, che guarda questo cielo, che cammina sulle acque, che offre
le sue membra alla flagellazione e agli sputi, che muore e che risorge…
La visita al Museo d’Israele questa mattina ci ha
immersi in questa storia e in questa geografia che Dio ha preparato, come una
culla nella quale adagiare il Figlio suo e irradiare nel mondo la salvezza.
Il grande plastico
della città di Gerusalemme al tempo di Gesù ci galvanizza per un’ora intera, tanto
riesce a rievocare nei minimi particolari i luoghi dell’antichità che ormai ci
sono familiari.
La sezione dedicata ai
rotoli del Mar Morto è il fiore all’occhiello del museo. Si può scorrere
l’intero libro di Isaia, assieme ad altri manoscritti di Qumran. Un altro codice di straordinaria
importanza è il testo masoretico di Aleppo. Noto con stupore che tra i rotoli
di Qumran e il codice di Aleppo c’è un vuoto di 1000 anni: per un periodo di 1000
anni non è rimasto nessun manoscritto ebraico dell’Antico Testamento! Com’è
possibile che non si sia conservato niente? Il primo millennio, a cominciare
dal secondo secolo, è invece ricchissimo di papiri e codici del Nuovo
Testamento. Non posso non fare il confronto con la Chester Beatty
Library di Dublino o con la Vaticana, di
una ricchezza senza confronto. Mi piacerebbe approfondire il mistero di 1000
anni di silenzio delle fonti.
Nel pomeriggio vediamo
arrivare i membri dei cinque focolari della Terra Santa per vivere assieme a
noi una sessione di Scuola Abbà. Ripercorriamo le tappe di questi giorni per
riviverle assieme a loro, alla luce del ’49. È un momento di paradiso.
Domani lasceremo
Gerusalemme e saliremo in Galilea. Non possiamo partire dalla città santa senza
tornare un attimo sul Santo Sepolcro e senza uno sguardo a quell’antica scala romana che la tradizione vede percorrere da Gesù
mentre dal cenacolo scende al Cedron, per poi risalire all’orto degli ulivi. Sempre
secondo la tradizione scendendo quei gradini, “volgendo gli occhi al cielo”
carico di stelle, avrebbe pregato il Padre per l’unità.
È un luogo
particolarmente caro alla Scuola Abbà, perché Chiara vi ha visto come
materializzarsi il suo sogno d’unità. Ci rileggiamo quanto scrisse dopo essersi
seduta su quei gradini:
«Se hai l’avventura di portarti in Terra Santa, verso
primavera, fra le mille cose che Gerusalemme ti offre alla contemplazione e
alla meditazione, una ti colpisce nel modo singolare, per quanto ricorda nella
sua estrema semplicità.
Resistita al tempo e lavata dalle intemperie di duemila
anni, una lunga scala di pietra, puntualizzata qua e là di papaveri,
rosseggianti come il sangue della Passione, si spiega, quasi un nastro
increspato, discendente, limpida e solenne verso la valle del Cedron.
È rimasta nuda all’aperto, costeggiata da una cornice di
prato, quasi che nessuna volta di tempo potesse sostituire il cielo che
l’incorona.
Di là – la tradizione racconta – Gesù discese quell’ultima
sera, dopo la cena, quando, “alzati gli occhi al cielo” gonfio di stelle, ebbe a
pregare: “Padre, l’ora è venuta...”.
Fa impressione metter i propri piedi dove i piedi di un Dio
hanno toccato e tutta l’anima t’esce dagli occhi guardando la volta celeste che
occhi di un Dio hanno guardato. E tale può essere lì l’impressione che la meditazione
ti fissa in adorazione.
Fu una preghiera unica la Sua prima di morire. E quanto più
splende Dio questo “Figlio dell’uomo”, che tu adori, tanto più’ lo senti uomo e
t’innamora.
Il Suo è un discorso che solo il Padre comprese appieno,
eppure lo fece a voce dispiegata, forse perché anche a noi arrivasse l’eco di
tanta melodia”».
Poco tempo più tardi scriverà ancora: «Ricordo che lì,
presso quella scaletta, nel nostro cuore è nato un ardente desiderio; c’era un
praticello verde: edificarvi un focolare, mettervi delle anime che perennemente
per quanto vivono consacrino la loro vita a tenere Gesù vivo in mezzo a loro,
perché lui fosse ancora lì, spiritualmente presente come allora era fisicamente
presente».
Guardando i focolarini e le focolarine oggi presenti a
Gerusalemme e in Terra Santa, mi pare di poter dire che quel desiderio di è già
realizzato.
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