Gesù l’aveva assicurato ai discepoli, piombati nella
tristezza all’annuncio della sua partenza: «Vado, ma tornerò a voi». Anche i
primi cristiani sapevano che sarebbe tornato, lo attendevano con fiducia
e continuavano ad invocarlo:
«Vieni, Signore Gesù».
Noi invece spesso abbiamo paura al pensiero del suo ritorno.
Non consideriamo infatti l’incontro con lui, ma che la sua
venuta coincide con la nostra morte. La preghiera di tanti cristiani di oggi, a
differenza di quella dei primi cristiani, si esprime, anche se tacitamente, con
le parole: «Vieni il più tardi possibile. Meglio ancora se non vieni». Si
arriva al punto di dimenticare che Gesù tornerà, addirittura ci si dimentica di
lui.
Così non ci accorgiamo che egli non attende la fine della
nostra vita per venire. Ci visita più spesso di quanto non immaginiamo. Si fa presente lungo la nostra giornata con un’ispirazione, in una persona che ci
passa accanto, nel momento della preghiera... Ma siccome non lo aspettiamo, non
sappiamo neanche riconoscerlo e lo lasciamo passare senza accoglierlo, senza
fargli festa.
È per questo che il Vangelo di oggi ci invita a vegliare, a
essere attenti, pronti per ogni incontro.
Se uno è distratto, preso dalla televisione, o con la musica
a tutto volume nelle cuffie, nemmeno sente il campanello. Se uno invece aspetta
un amico, la persona amata, è sul chi va là, percepisce il più piccolo rumore
ed è subito pronto ad aprire la porta.
È sempre questione di amore.
Un innamorato, anche mentre fa le
cose più disparate, pensa alla persona amata. E se sa che essa deve venire, non
si lascia prendere dal lavoro: lavora, ma col cuore in attesa. «Dormo, ma il
mio cuore veglia», diceva la sposa del Cantico dei Cantici.
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