Lungo
la via Pistoiese, a pochi chilometri dalla porta della città di Prato, nel
Basso Medioevo si trovava un piccolo borgo, Narnali, sorto attorno allo “Spedale
di Santa Maria”, luogo di accoglienza per i pellegrini. La chiesa, sorta nel
1100 su precedenti insediamenti, completamente ristrutturata nel 1600, è oggi sconsacrata,
abbandonata e decadente.
Da
dove abitavo, bambino, dista appena una mezz’ora a piedi, ma allora mi sembrava
un luogo lontano lontano. La domenica si compiva il consueto rito.
La mamma si sedeva davanti alla toelette con la grande specchiera, si pettinava,
si incipriava, metteva il rossetto, si vestiva a festa.
Poi
in vespa. Il babbo alla guida, la mamma dietro, seduta di fianco, io in piedi davanti,
tra le gambe del babbo. Vento in faccia ci vi avventurava verso Narnali, dai
nonni.
Lasciata
via Pistoiese ci si inoltrava nella strada polverosa, fiancheggiata da un
fosso, che conduceva dritta all’antico cascinale, un unico complesso con la
casa delle padroni Pugi, quella dei Mati con il portico per il barroccio, e
quella dei nonni. Di lato i fienili. Dietro si aprivano i campi.
All’entrata
della casa la cucina, lastricata con grandi pietre malpari, gelida d’inverno,
fresca d’estate, era il centro della vita. Il canto del fuoco, col paiolo
appeso alla catena, custodiva la sacralità della famiglia. Un uscio a sinistra
portava nella stalla, un altro nel salotto, sobrio e austero, un altro s’apriva
sulle scale che conducevano alle stanze superiori e al granaio.
una strada polverosa conduceva dritta all’antico cascinale, |
Allora
d’estate non era come adesso, faceva un caldo arroventato che abbacinava l’orizzonte.
Sul mezzo del giorno la vita si arrestava, immobile, avvolta nel più profondo
silenzio, ipnotizzata dal sole torrido, padrone incontrastato delle ore
meridiane.
Avrei
voluto uscire, correre per i campi. “Guarda che caldo!” mi dicevano gli zii e dischiudevano
appena il battente della porta massiccia. Bastava quelle fessura per lasciarmi
intravedere il caldo, terribile, che infuocava la terra e l’aria, bruciando gli
alberi e le stoppie. Il caldo allora non si sentiva, allora il caldo si vedeva. Svelti richiudevano l’uscio rinserrandomi
di nuovo nella fresca cucina semibuia, nella quale era consentito bisbigliare
soltanto.
Sono
tornato oggi a quella casa, ormai villa di signori, al centro di un’asse
viaria, senza più l’orma contadina. Gli antichi campi sono un parco comunale.
Tutto è cambiato, soprattutto il clima. Non c’è più il caldo come una volta,
come quello percepito da un bambino, quello che si vedeva.
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