Di
prima mattina scendiamo nella valle del Cedron e risaliamo dall’altra parte,
sul Monte degli Ulivi.
Alla sommità il luogo dell’Ascensione. Siamo i primi pellegrini (ce ne sono proprio pochi in questi giorni…). Il vasto spazio delimitato dalle mura ottagonali dell’antica chiesa crociata è tutto per noi. Entriamo nell’edicola al centro, proprio dove la tradizione indica il punto da dove Gesù è salito al cielo. Siamo in cerchio, come dovettero esserlo gli apostoli (oggi è la festa di uno di loro, Bartolomeo) e anche a noi verrebbe da rimanere lì. Non ci sono angeli attorno a noi a invitarci a scendere dal monte… o meglio, ce n’è uno, la nostra splendida guida, Alessandra, che svolge lo stesso compito degli angeli di allora.
Alla sommità il luogo dell’Ascensione. Siamo i primi pellegrini (ce ne sono proprio pochi in questi giorni…). Il vasto spazio delimitato dalle mura ottagonali dell’antica chiesa crociata è tutto per noi. Entriamo nell’edicola al centro, proprio dove la tradizione indica il punto da dove Gesù è salito al cielo. Siamo in cerchio, come dovettero esserlo gli apostoli (oggi è la festa di uno di loro, Bartolomeo) e anche a noi verrebbe da rimanere lì. Non ci sono angeli attorno a noi a invitarci a scendere dal monte… o meglio, ce n’è uno, la nostra splendida guida, Alessandra, che svolge lo stesso compito degli angeli di allora.
Iniziamo
la discesa, per giungere alla Chiesa
del Pater Noster, dove Gesù, rispondendo alla richiesta dei discepoli,
insegnò loro: “Quando pregate dite: Padre….”. Entriamo nella grotta dove Gesù e
gli apostoli erano soliti dimorare quando erano a Gerusalemme. Chissà quante
cose si sono detti in questa solitudine fresca e silenziosa. Per noi è uno dei
momenti più belli del nostro pellegrinaggio. Cantiamo il Padre nostro e ho
l’impressione di vedere Gesù che prende la mia mano destra e dall’altra parte
Maria che prende la mia sinistra, e insieme mi orientano verso il Padre. Posso
dire “Padre” con loro, e con gli altri miei fratelli e sorelle della Scuola
Abbà che sono accanto a me. Non a caso
ci chiamiamo Scuola “Abbà”: è la parola di Gesù, che fiorisce sulle labbra di
ogni cristiano. Gesù si pone accanto a noi e ci fa rivolgere dove lui è
rivolto, verso il Padre.
Il “Padre nostro”: preghiera trinitaria per eccellenza: possiamo
dire Padre soltanto se e perché siamo nel Figlio: figli nel Figlio. È Gesù che
in noi ripete Abbà, Padre: è lui che prega in noi. Possiamo dire Padre
soltanto se e perché lo Spirito mette il suo nome sulle nostre labbra, così
come lo mette sulle labbra stesse di Gesù. La preghiera del «Padre nostro» ci
rivela il circolo d’amore della Trinità e ci introduce in esso, rendendoci
partecipe della relazione d’amore tra i Tre.
Quando in silenzio preghiamo nella chiesa del Pater Noster è come se sperimentassimo l'unità che la preghiera rivolta all'unico Padre rinsaldasse tra noi i legami di fraternità.
Quando in silenzio preghiamo nella chiesa del Pater Noster è come se sperimentassimo l'unità che la preghiera rivolta all'unico Padre rinsaldasse tra noi i legami di fraternità.
Usciti dalla grotta giochiamo a trovare, tra le cento e
cento iscrizioni del Padre nostro che circondano le pareti del cortile, del
chiostro, della chiesa, quella nella nostra lingua, compreso il calabrese e il
sardo. Anch’io trovo la mia lingua “paterna”, il provenzale.
Scendiamo ancora, passando accanto all’antico cimitero ebraico dove sulle tombe, al posto dei fiori, sono depositati i sassi. Giungiamo al Dominus Flevit: Gesù, vedendo Gerusalemme, pianse perché sapeva che non lo avrebbe accolto. Avrebbe potuto tornare indietro, eppure scese verso di essa: doveva dare la vita proprio per quanti non lo avrebbero accolto!
Scendiamo ancora ed eccoci alla Tomba di Maria, nella grotta dove, secondo la tradizione, fu trasportato il corpo della Vergine dopo che si fu “addormentata”. Dall’Ascensione di Gesù all’Assunzione di Maria: sui passi di Gesù e di Maria!
È il momento più adatto per scendere fino alla tomba di
Maria: oggi a Gerusalemme la Chiesa ortodossa festeggia la sua Assunzione. Entriamo mentre la
sacra liturgia volge al termine, in tempo per baciare l’icona che il sacerdote
mostra al popolo. Poi un passaggio veloce davanti alla tomba, una pietra bucherellata
dai pellegrini che, lungo i secoli, hanno voluto asportare il loro piccolo
pezzettino di sasso…
La nostra discesa termina con un’altra grotta ancora, lì accanto, quella del Getsemani, dove Gesù si ritirava di notte con i suoi discepoli e dove ricevette il bacio traditore di Giuda. Infine la Basilica dell’Agonia, dove si ode ancora risuonare la stessa parola che Gesù ha insegnato a noi per la preghiera: “Padre”. Adesso è lui a pronunciarla in un momento tragico, nel quale rimane comunque l’affetto e la tenerezze di quella preghiera: “Padre”.
Tragedia e tenerezza: due dimensioni che sembrano contrastanti tra di loro; gli stessi sentimenti nostri davanti alla tragedia del terremoto in Italia di oggi, che seguiamo da lontano; gli stessi sentimenti davanti alle contraddizioni di questa terra di cui siamo testimoni in questi giorni.
Nel pomeriggio Betania.
Benché appena dietro il monto degli Ulivi, per raggiungerla dobbiamo fare un
grande giro. Il muro la divide infatti in due parti. La zona palestinese, che
custodisce i ricordi di Lazzaro e della sua famiglia, rimane tagliata fuori e la
città appare in un profonde degrado, che ci dà subito l’assaggio di un mondo in
profonda sofferenza.
Il primo evento evangelico che Betania ricorda è la
risurrezione di Lazzaro e la proclamazione di Gesù come Resurrezione e Vita. Vediamo
Gesù piangere sull’amico, come in mattinata lo abbiamo visto piangere su
Gerusalemme. Ci fa impressione questo Gesù così umano, così vicino a noi,
capace di piangere come noi e con noi…
Visitiamo la presunta tomba di Lazzaro attorniata dalle
imponenti rovine delle grandi costruzioni crociate, comprendenti chiesa e
monastero.
Il secondo evento di Betania è l’unzione che Maria fa di
Gesù, uno “spreco” di soldi a testimonianza d’un amore puro e gratuito.
Il terzo è quello su cui ci fermiamo a riflettere: l’accoglienza
riservata a Gesù dalle due sorelle. Abbiamo letto le parole così appropriate che
papa Francesco ha pronunciato in mese fa. Tra l’altro diceva:
«Nel suo affaccendarsi
e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare la cosa più importante, cioè la
presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza
dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni
maniera… Perché l’ospite va accolto come persona, con la sua storia, il suo
cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in
famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo
fai sedere lì, muto lui e muto tu, è come se fosse di pietra: l’ospite di
pietra. No. L’ospite va ascoltato.
L’ospitalità… una
virtù che nel mondo di oggi rischia di essere trascurata. Infatti, si
moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti
si pratica una reale ospitalità… Oggi siamo talmente presi, con frenesia, da
tanti problemi che manchiamo della capacità di ascolto… Tu, marito, hai tempo
per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi
genitori, avete tempo, tempo da “perdere”, per ascoltare i vostri figli? o i
vostri nonni, gli anziani? – “Ma i nonni dicono sempre le stesse cose, sono
noiosi…” – Ma hanno bisogno di essere ascoltati! Ascoltare. Vi chiedo di
imparare ad ascoltare e di dedicarvi più tempo. Nella capacità di ascolto c’è
la radice della pace».
Anche questa sera
terminiamo la giornata con un grande senso di pienezza.
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