martedì 19 agosto 2014

Apa Pafnunzio e la vocazione del profeta Isaia



Apa  Pafnunzio aveva sempre nutrito una segreta simpatia per il profeta Geremia.
Sentiva particolare affinità con la sua reazione difronte alla chiamata di Dio. Aveva iniziato a balbettare come un bambino, per poi dichiarare candidamente: “Mi dispiace, Signore, ti sei sbagliato, non so parlare, faresti meglio a chiamare un altro”.
Il profeta Isaia, di famiglia nobile, con quel fare un po’ altero, gli risultava alquanto antipatico nella sua presunzione. Si era fatto avanti e aveva dichiarato sfacciatamente: “Cerchi qualcuno? Eccomi, ci sono qua io, manda me”.
Quel giorno l’apa riprese a leggerne proprio il libro di Isaia che, al di là dell’autore, era stato fonte di gioia e di consolazione per generazione di credenti. 
Con sorpresa, quasi non l’avesse letto mai prima d’allora, fu colto da stupore notando che anche per il profeta Isaia la prima reazione davanti alla chiamata di Dio era stata di sgomento: “Che guaio mi è capitato. Come parlare a nome di Dio se sono un uomo dalle labbra impure?”
È pur vero che poco dopo mutò atteggiamento e si fece avanti con ardimento. Ma fra i due momenti c’era stato l’intervento del Signore che, con un tizzone ardente, aveva purificato la bocca del profeta.
D’altra parte anche Geremia, sempre sgomento e cosciente della propria inadeguatezza, s’arrese entusiasta, con gioia appassionata, al fascino del suo Dio: “Mi hai sedotto e mi sono lasciato adescare da te, non posso resisterti, non posso non dirti di sì”.
Apa Pafnunzio si ritrovava nell’esperienza del primo moto provato da Geremia come da Isaia: la fuga. Anche lui come loro era inadeguato, peccatore, incapace di parlare.
Eppure non poteva negare che anche per lui c’erano momenti in cui avrebbe voluto gridare: Eccomi, manda me, non posso resistere alla tua seduzione.
Di mezzo c’era quel tizzone ardente che gli bruciava le labbra, quella spina nella carne, come l’avrebbe chiamata Paolo, a ricordargli che sarebbe bastata la grazia di Dio, che tutto sarebbe stato soltanto grazia.


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