Cosa di meglio che celebrare la festa di san Domenico in
un monastero domenicano? È quanto ho avuto la gioia di fare oggi, nel monastero
di santa Caterina de Ricci.
Ed è stata l’occasione di rievocare la straordinaria vocazione
di Domenico, così come l’ha sintetizzata san Tommaso d’Aquino.
Nel 1270, a pochi anni dalla morte, Tommaso tiene una
delle sue lezioni magistrali all’università di Parigi per spiegare la grande
novità del carisma che san Domenico gli aveva consegnato. I Domenicani
comunicano la verità che hanno contemplato e la sacra dottrina che hanno
studiato.
Tommaso svolge la lezione inaugurale commentando la
parabola evangelica del seminatore che “uscì” a seminare (Luca 8, 4-15). “Questo seminatore, cioè Cristo,
che volle seminare, «uscì». Quindi è
necessario che anche gli altri predicatori escano”. Anche il predicatore,
spiega Tommaso, dovrà uscire: prima dovrà uscire dal peccato e dal mondo per
entrare, seguendo Gesù, nel Padre. Da lì poi, sempre seguendo Gesù, uscirà a
sua volta per predicare.
Da sempre, come Abramo che uscì dalla sua terra verso la
Terra promessa, il monachesimo era uscito dal mondo verso la contemplazione, ma
ora, con san Domenico, c’è un passo un avanti: colui che è uscito dal mondo per
conoscere Dio, una volta attinta, per
la comunione profonda con Cristo, la contemplazione
dei divini misteri nel seno del Padre, seguendo l’esempio del Verbo che è
uscito dal seno segreto del Padre per
venire nel mondo, deve uscire anch’egli «dal segreto della contemplazione verso
il pubblico a cui deve predicare»:
contemplare e trasmettere le cose contemplate. Questo l’ideale di san Domenico
Santa Caterina de Ricci guidata dall'angelo e seguita dalle monache |
“L’anima si
converte a Dio mediante due cose - scrive Tommaso commentando, il Cantico dei Cantici - l’orazione devota e la
contemplazione; e Dio si volge
all’anima parlandole internamente. Infatti il Signore dice: «Il mio diletto è per me e io per lui» (Ct 2, 16). Ma ciò vuol forse significare stare sempre
quaggiù nella contemplazione? No. Infatti il Signore dice (cf. Ct 7, 12): «Vieni, mio
diletto, usciamo verso i campi», ossia verso il pubblico al quale predicare,
«passiamo la notte», ciò indica l’applicazione costante nella predicazione,
«nei villaggi», vale a dire: negli uomini disposti alla predicazione. Notate
l’espressione «passiamo la notte»: essa in- dica una certa familiarità di Dio
con il predicatore; «usciamo verso i campi»
vuol dire: Io, il Signore, dando l’ispirazione, e tu, predicatore, predicando”.
Una volta raggiunta «la terra della contemplazione», il
predicatore torna dunque nel mondo per rendere partecipi gli altri dei suoi frutti.
I Domenicani, come i Francescani, avevano pensato di
uscire dai monasteri, di lasciare i luoghi deserti, sulle montagne e nelle
campagne, per entrare nelle città che allora stavano nascendo, per stare
insieme alla gente e aiutarle nel cammino della vita cristiana… Fino ad allora
c’era la vita contemplativa (i monaci) e la vita attiva 8gi ordini
ospedalieri). Adesso era nata una nuova vocazione: “La via contemplativa – è
sempre Tommaso a scrivere – è migliore della via attiva che ha cura soltanto
delle necessità corporali, ma la via attiva che consiste nell’offrire agli altri, mediante la predicazione e
l’insegnamento, le verità che si sono contemplate
è più perfetta che la via soltanto contemplativa, perché essa presuppone una pienezza di contemplazione.
Ed è per questo che il Cristo ha scelto una via di questo tipo”.
Non sembra di sentire papa Francesco che parla di Chiesa
in uscita?
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