Si
tratti Erode o dei magi, degli scribi e farisei o di Maria di Magdala, ognuno
di loro cerca Gesù, per il bene o per il male. Ognuno ha una motivazione
diversa che lo guida, ma tutti desiderano ugualmente incontrarlo.
La
tragedia è quando manca ogni interesse per Iddio. L’ateo non desidera perché
crede di non credere; per lui Dio non esiste, ed è giunto a conclusione che il
problema di Dio in falso problema. A volte lotta contro tale credenza spinto da
una fede nella sua causa. Comunque non lo desidera e non lo cerca perché è
convinto che non ci sia. Lo gnostico si pone il problema della conoscenza di
Dio. A volte ne è appassionatamente alla ricerca, altre volte si arrende
davanti alla conclusione che è impossibile conoscere la verità sulla sua
esistenza.
Oggi
queste due figure si fanno sempre più rare, per lasciare il posto da una totale
indifferenza. Questa nostra età vede affievolirsi il desiderio di Dio,
semplicemente non perché non crede alla sua esistenza o ne dubiti
metodologicamente, ma per il semplice motivo che vede affievolirsi ogni tipo di
desiderio. La sua fiamma si è smorzata e lentamente si è estinta. Oppure non si
è mai accesa. Non ci è mai posti in cammino perché manca una meta. “Siamo nella
vita arcieri che hanno un bersaglio”, scriveva Aristotele. In tante persone la
freccia non scocca o perché manca il bersaglio, oppure perché l’arco si è
allentato. È la tragedia di una società – almeno quella occidentale – sazia e
quindi addormentata. Si contenta spesso di piccole mete, di un procedere senza
un intento, di traguardi ravvicinati. Mancano gli obiettivi a lungo respiro, le
grandi “aspirazioni”, perché manca l’aria. Dopo la morte di Dio e dunque morto
anche il desiderio di Dio?
Ma
manca davvero il desiderio? Oppure manca semplicemente la consapevolezza del
desiderio. Forse non sa di desiderare. Ma quella inquietudine, quella
insoddisfazione che comunque accompagna ogni presunta sazietà o ogni presunta
mancanza di sogni, ogni rassegnazione pigra; o quella parvenza di pacifica
indifferenza per ogni ideale, o quel disinteresse per le stelle e per quello
che vi è sopra le stelle, sono come una depressione atmosferica che attira la
pioggia, un vuoto che attende di essere colmato.
Da
parte sua Dio non demorde: sta alla porta e bussa. Prima o poi l’incontro dovrà
avvenire, almeno perché Dio non smette di desiderarlo, il suo arco non
s’allenta e al momento opportuno la freccia scocca, con tanta più forza quanto
più l’arco si è teso. L’ultimo appuntamento non si potrà mancare.
Presto
o tardi. Si può sperare la medesima esperienza di sant’Agostino: “Tardi ti
amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri
dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme
delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le
tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo
grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia
cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e
ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace” (Confessioni,
10, 38).
Anche
il desiderio è dono: “Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non
lo attira” (Gv 6, 44: 3, 27). E il
dono non è pretesa, non può essere esigito, può essere atteso, impetrato.
Imprevisto
è anche l’esito dell’attesa e della ricerca. C’è chi cerca per tutta la vita e
non trova. C’è chi, come nella parabola
del mercante, cerca per tutta la vita e finalmente trova la perla preziosa. C’è
chi non cerca affatto, come nella parabola del contadino che zappa nel campo, e
inaspettatamente trova il tesoro.
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