Prima che
terminasse ho potuto vedere la mostra su Auguste Rodin alle Terme di Diocleziano.
Uno sfavillio di marmi bianchissimi, in una carrellata che ascende verso vette
altissime. Il tema dominante, dalle mille variazioni: il rapporto uomo donna, a
iniziare dal famoso bacio. Psiche e Amore, Paolo e Francesca, ninfe e fauni, angeli
e figure anonime, sono soltanto pretesti per esprimere l’anelito inappagato di
compenetrazione.
Anche le mani si
cercano. Una sola si apre per donare, La mano
di Dio, del 1902 (il prototipo risale a quattro anni prima). È sola la
grande mano che trattiene un blocco informe dal quale emergono due figure umane
assopite, in posizione fetale, quasi una metafora della creazione artistica.
«Quando Dio creò il mondo – disse Rodin – ciò a cui doveva aver pensato
innanzitutto era il modellato». Il filosofo Henri Bergson riconosce che Rodin
«vive nelle proprie intenzioni, vive libero, vive creativo, vive proprio come
un dio».
Dio e l’arte si esprimono nella creatività e l’artista esprime il
desiderio di essere come Dio.
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