Cent’anni fa, il 29
maggio 1914, alle 9.30 di sera, moriva padre Giuseppe Gerard, l’Oblato più
amato da tutti per la sua semplicità, la dedizione estrema ad ogni singola
persona che incontrava, lo zelo a tutta prova, l’imperturbabile pazienza, la
costante preghiera… Il missionario per eccellenza, che ha saputo creare una
Chiesa dal niente, in mezzo a difficoltà inimmaginabili.
La suore infermiera che
lo assisteva negli ultimi giorni di vita racconta che quando aveva la febbre
alta chiamava il ragazzo che lo aiutava perché sellasse il cavallo – un famoso
rimasto famoso, di nome Artaban – perché doveva andare a trovare gli ammalati.
La suore gli diceva: “Sì, è appena andato a prepararlo”. Allora lui, pensandosi
già in viaggio, schioccava la bocca e con la mano dava dei piccoli colpi alle
coperte pensando di spronare Artaban, ripetendo: “Ragazzo mio, le anime le
anime! Dio me ne domanderà conto… La misericordia di Dio è infinita”.
Una volta, non vedendo il
suo padrone, Artaban partì da solo e si fermava un po’ di tempo alla capalla di
un ammalato e di un anziano, poi ripartiva, si fermava alla capanna di un
altro… e da solo fece tutto il giro che ormai era solito fare con il vecchio
missionario.
Come ha fatto a diventare
santo e a convertire un popolo intero, nell’Africa del sud? Ce l’ha detto lui
stesso: “Il segreto per farsi amare è quello di amare. Il
mondo appartiene a chi lo ama di più e ne da' la prova. Penso volentieri a un
sacerdote, a un missionario oblato di Maria Immacolata in una Missione. È uno
che osserva tutto con i suoi occhi, conosce con il suo cuore, porta la gioia
con la sua presenza, si fa tutto a tutti per guadagnarli al Cristo. Con una
carità intraprendente sa servirsi di tutto, pensa a tutto; ma non si accontenta
di questi rapporti impersonali,
sacerdote di tutti, ma non abbastanza il sacerdote di ognuno. Questo sacerdote
coglierebbe l'occasione di dare a ognuno in particolare attenzioni personali,
dirette del suo zelo, di modo che ognuno è certo di essere amato personalmente
da Lui”.
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