L’ateismo militante e
combattivo – quello, per intenderci, di un Odifreddi o dell’Unione degli Atei e
degli Agonistici Razionalisti – guadagna terreno. Molto più diffusa
l’indifferenza verso ogni tematica religiosa; ne è rivelatrice l’ignoranza
generale in questo materia, evidente, ad esempio, dagli elementari quiz
televisivi o dai dibattiti dove giornalisti ed esperti si muovono a disagio su
questo terreno sempre meno noto. Rimonta anche l’astio verso l’istituzione
Chiesa, alimentata da scandali morali e finanziari, privilegi fiscali…,
allontanando dalla pratica religiosa.
Dio, negato dimenticato o avversato, rimane comunque all’orizzonte. Come
per gli antichi, anche oggi il sacro conserva il volto del “tremendum et
fascinans”, che mette timore e insieme attira, tra
nostalgia e aspirazione, smarrimento ed ebbrezza. Accanto all’homo sapiens e all’homo faber permane l’homo
religiosus. Il desiderio di Dio è inscritto in ogni cuore,
nell’età della pietra come nell’era digitale, perché l’uomo e la donna sono
stati creati da Dio e per Dio, lo sappiano o lo ignorino.
Iniziando le sue
catechesi sulla preghiera, che sta portando avanti da più di un anno, Benedetto
XVI affermava che “l’uomo porta in sé una
sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un
desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso
l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio”. Ne sono
prova i milioni di clic con i quali ogni giorno si chiede ai motori di ricerca del
web chi è Dio: è tra i personaggi più cliccati in assoluto. Vale la pena
dedicargli un numero di Unità e Carismi!
In verità ogni numero della nostra rivista è dedicato a lui, orizzonte nel
quale viviamo e ci muoviamo, vita della nostra vita. Questa volta ci siamo
proposti di parlare dell’unione con lui, realtà che può e deve abbracciare e
informare ogni attimo della vita, anche quando non c’è il tempo di pensare a
lui; è frutto dell’amare e del soffrire, dell’adempimento della sua volontà; la
si può avvertire vivissima in certi momenti di luce e in quelli di prova
sentirne la lontananza… In modo particolare vogliamo qui parlare di una manifestazione
privilegiata di questo rapporto, la preghiera, “espressione – come scriveva Tommaso d’Aquino – del desiderio che l’uomo ha di Dio”.
“Questa attrazione verso Dio –
riprendo l’inizio delle catechesi di Benedetto XVI –, che Dio stesso ha posto nell’uomo, è l’anima della preghiera, che si
riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il tempo, il momento,
la grazia e persino il peccato di ciascun orante”. Essa “non è legata ad un particolare contesto, ma
si trova inscritta nel cuore di ogni persona e di ogni civiltà. Essa è un
atteggiamento interiore, prima che una serie di pratiche e formule, un modo di
essere di fronte a Dio prima che il compiere atti di culto o il pronunciare
parole… è il luogo per eccellenza della gratuità, della tensione verso
l’Invisibile, l’Inatteso e l’Ineffabile”. Si può dunque non soltanto
interrogarci su Dio, pensare a lui, ma addirittura ascoltarlo e parlare con lui
in un dialogo chiamato a diventare, secondo la celebre definizione della
preghiera lasciataci da Teresa d’Avila, “rapporto
di amicizia con Colui dal quale sappiamo di essere amati”.
Per convincere
sull’importanza della preghiera gli autori spirituali di ogni secolo, dopo aver
esaurito ogni altro argomento, sono solidi concludere con l’affermazione che
Gesù stesso, il Figlio di Dio, ha pregato! Il suo rapporto con il Padre era
costante, fatto di adempimento della sua volontà (Gv 14, 31), di conoscenza mutua (Mt 11, 27; Gv 10, 15), al
punto d’essere una cosa sola (Gv 10, 30),
l’uno nell’altro (Gv 10, 38; 14,
10-11; 17, 21).
Questo rapporto si
esprimeva anche nella preghiera pubblica, ad alta voce, nelle benedizioni e nel
ringraziamento, e soprattutto in quella silenziosa e prolungata, soprattutto di
notte, come testimoniano i vangeli che lo ritraggono in quel suo ritirarsi di
notte il luoghi solitari: “Avvenne in
quei giorni che Gesù andò sulla montagna a pregare e vi trascorse la notte in
preghiera” (Lc 6, 12). “A Gesù non bastava parlare con le folle
– commenta Zevini –, né con i discepoli,
né gli bastava servire i fratelli. Avvertiva una solitudine che solo il Padre
poteva colmare, una ricchezza che solo il Padre poteva capire e condividere. La
preghiera di Gesù esprime la nostalgia del Padre”. A lui quindi anche noi,
come i discepoli, possiamo chiedere: “Signore,
insegnaci a pregare” (Lc 11, 1).
Dall'editoriale per "Unità e Carismi". Vedi http://unitaecarismi.cittanuova.it/
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